Il vescovo, «biopolitica e ingegneria sociale: la Giornata della Memoria ci interpella»

«Poiché “tutto e’ connesso” (Laudato Sii 16) la giornata della memoria non serve solo a onorare le vittime del passato, ma a fare in modo che il loro martirio non sia inutile qui, oggi. Ovvero, significa riconoscere come quello stesso male, magari in forme solo apparentemente diverse, si ripresenta alla nostra coscienza di oggi, interpellandoci senza possibilità di fuga dalla responsabilità: o contro il male o suoi complici, senza poter dire “io non sapevo”».

Lo ha spiegato il vescovo Domenico durante l’iniziativa per la Giornata della Memoria promossa il 27 gennaio dall’Istituto Magistrale di Rieti. E provando ad indicare quali sono le forme in cui quello stesso male si ripresenta oggi, mons. Pompili ha ricordato che «Hitler aveva un programma di ingegneria genetica».

Un progetto biopolitico, diremmo oggi: distillare la razza ariana pura. In altre parole, mettersi al posto del creatore. Il quale ha creato tutto con amore, non ha eliminato ciò che non corrispondeva a un disegno preordinato.

«Se teniamo gli occhi aperti – ha detto il vescovo – questa questione è più che mai attuale. Non è forse vero che certa ingegneria biotecnologica pretende di fissare oggi i paletti del figlio che va fatto corrispondere ad alcuni criteri di bellezza, efficienza e potenza che minano la libertà umana alla sua radice, perché fanno del figlio un prodotto da laboratorio e non un evento di libertà, il frutto di un gesto di amore nella responsabilità?»

E il ragionamento del vescovo non ha mancato di allargare lo sguardo al «progetto di ingegneria sociale» di Hitler: «eliminare una categoria di persone, definite in modo astratto in base alla loro appartenenza e non considerate come singoli individui con una storia, dei legami, dei desideri, perché davano fastidio».

La società sarebbe stata meglio eliminando queste persone, pensava e faceva pensare il dittatore, grazie anche ai media sapientemente usati (cinema, stampa, radio a quel tempo, gestiti in modo unitario ed efficacissimo grazie al suo braccio destro Goebbles, che era stato anche giornalista).

«Anche questo, oggi, dovrebbe dirci qualcosa» ha spiegato il vescovo ai ragazzi: «Identificare una categoria sociale come responsabile di tutti i mali segue la logica del capro espiatorio, che anziché cercare di capire cosa non va nel nostro modo di vivere, attribuisce la colpa a un “loro” che ci impedisce di essere ciò che potremmo».

È fin troppo evidente anche oggi il tentativo di utilizzare come capro espiatorio fenomeni come l’immigrazione che finisce per essere additata come la causa dell’infragilirsi economico e sociale, oltre che del venir meno della sicurezza e della tranquillità.

Una visione sulla quale il vescovo ha sollecitato a porsi domande, a domandarsi se «le cose stanno proprio così». Uno sforzo di approfondimento, di costruzione della coscienza che dovrebbe anche mettere al riparo dalla «banalità del male» indicata da Hanna Harendt.

Le persone che hanno portato gli ebrei nei campi di sterminio, che hanno schiacciato i bottoni delle camere a gas non erano in sé cattive. Facevano il loro dovere, eseguivano gli ordini. Non si facevano domande.

«Il male prima che crudele è semplicemente ottuso» ha sottolineato don Domenico. «La memoria serve a ricordarci che bisogna pensare sempre, e avere il coraggio di mettere in discussione il “fan tutti così” e anche di infrangere le regole se la nostra coscienza ce lo impone. Questa è la vera trasgressione!»

Foto di Massimo Renzi.