Chiesa di Rieti

Il vescovo alla liturgia delle Ceneri: «Mai come ora scopriamo la forza del legame che ci unisce»

L'omelia del mercoledì delle Ceneri, «ai tempi del coronavirus», ha assunto un significato particolare. Ma proprio ora, ha detto il vescovo, dobbiamo prepararci a riassaporare la gioia dell'incontro e a riabbracciare la vita con nuovo slancio, quando l'emergenza sarà finita

Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai. L’omelia del mercoledì delle Ceneri, «ai tempi del coronavirus», assume un significato particolare.

«Dunque – ha detto il vescovo Domenico in Cattedrale – è vero che viviamo nella società del rischio e che, per quanto ben organizzate e potenti, anche le società moderne sono in pericolo: in un baleno una città di venti milioni può trasformarsi in un deserto e il Nord più frenetico d’Italia ritrovarsi isolato».

Ma oltre al pericolo, reale o esasperato che sia, c’è dell’altro nelle nostre vite, in questo momento storico. «Succede che stiamo provando nostalgia per quella dimensione sociale che abitualmente ci costa e ora all’improvviso sembra quasi l’aria che manca. Sì, ci voleva un virus per farci riscoprire per via del contagio che siamo “tutti connessi” gli uni agli altri giacché un fatto accaduto in Cina ce lo ritroviamo sotto casa. E così per quanto necessario sia isolarsi, immunizzarsi, separarsi, tutti ci si augura che l’effetto virale finisca al più presto e si possa tornare a stare insieme, a toccarsi, a frequentarsi. Insomma mai come ora che dobbiamo stare ‘a debita distanza’ si scopre quanto forte sia il legame che unisce».

Noi, abituati ad avere tutto, ad essere liberi, e talvolta a non comprendere le difficoltà di Paesi che vivono guerre, isolamenti o carestie, ci siamo in questo periodo sentiti mancare la terra sotto i piedi. E ci rendiamo conto di quanto siano importanti gli altri, «per affrontare un nemico che da solo nessuno potrebbe vincere».

Istituzioni, sanità, forze dell’ordine e volontariato ci vengono incontro con le loro competenze, e noi, da par nostro, dobbiamo attingere alla nostra «riserva di umanità, di solidarietà e di efficienza».

Ma c’è spazio per positività, e per spalancare le finestre alla luce che entrerà a primavera, quando «l’epidemia svanirà come un male di stagione».

«Allora l’economia si dice che avrà un tipico andamento a V. Ovvero, dopo aver toccato il picco negativo con altrettanta velocità si riprenderà anche grazie al desiderio della gente di ritrovare il tempo perduto e di investire in incontri, viaggi turismo, ristorazione, lusso e attività che incidono su altri settori. Quel che attendeno i cristiani in questa quaresima è invece una inversione ad U. Ovvero, dopo aver sperimentato il fondo del nostro peccato che è l’isolamento, l’ostilità e la lontananza da Dio, verrà voglia di risalire la china, provando a sperimentare non più l’isolamento, ma la solitudine che è quando si sta bene con se stessi; non più l’ostilità, ma l’ospitalità che è fare spazio e non occupare lo spazio; non più l’illusione di Dio, ma l’ascolto quotidiano della sua Parola».

Dunque, uniamoci, e sorridiamo in attesa di ciò che accadrà, e, «quando la quarantena, anzi la quaresima, sarà finita, verrà spontaneo riabbracciare la vita con nuovo slancio, incontrare gli altri con più convinzione, cercare Dio stesso con più entusiasmo. La Quaresima a differenza della quarantena, infatti, non è fatta per separare, ma per riunire».