Il vescovo ai medici: riscoprire una medicina che sa di terra

Sono stati tanti i medici presenti all’incontro con il vescovo Domenico organizzato dall’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Salute nel giorno della ricorrenza del loro patrono San Luca evangelista.

L’iniziativa era stata pensata come rinnovato segnale di attenzione da parte del Vescovo e dell’Ufficio Pastorale per la Salute verso chi affronta ogni giorno la malattia e la fragilità, mettendo non solo a dura prova la propria fede, ma applicando cristianamente nella cura dei malati la carità e la compassione. Un modo per segnalare ai Medici che non sono soli nelle loro battaglie, ma hanno il pieno sostegno della Chiesa di Rieti.

«Do per scontato l’impegno quotidiano, la fatica di un sistema come quello sanitario che si fa più complicato e insieme più fragile» ha detto il vescovo. «Intuisco la difficoltà di essere sempre più voi stessi e sempre meno meri esecutori di procedure che tendono a rendere il rapporto con la malattia una serie di tecniche e sempre meno una serie di azione di cura».

Ma proprio per questo, è sembrato dire don Domenico, è necessario lavorare insieme, trovare punti di contatto, costruire sinergie. E senza voler minimamente invadere il campo dei medici, e confessano la propria «inadeguatezza», ha indicato alcune «attenzioni su cui insieme lavorare».

Una è stata l’indicazione di una «medicina che sa di terra». Un invito a ritornare ad una visione quasi originaria dell’essere uomo, che vede il suo microcosmo in rapporto al macrocosmo. Una relazione che la sapienza antica fondava sui «quattro elementi: terra, aria, acqua, e fuoco» e che ha guidato la medicina antica, di Ippocrate e Galeno, «all’approccio diretto nei confronti del paziente, per individuarne le abitudini di vita, l’alimentazione, i sintomi. Determinante è la sua convinzione che la malattia irrompa per uno squilibrio tra l’uomo e l’ambiente, di cui gli umori sarebbero la controprova».

L’invito del vescovo non è ovviamente quello di un ritorno a cure e metodi diagnostici sorpassati, ma a tenere a mente che l’uomo viene dalla terra, «homo da humus» e che quindi «non bisogna mai dimenticare questa preliminare condizione di partenza. Se si dimentica questa concretezza si perde il senso della medicina che non è un’arte divinatoria né una tecnica farmacologica, ma ha a che fare con l’uomo, che è fatto di terra».