Il vescovo agli operatori pastorali: «Il passato è a valle, il futuro a monte»

Gremito il grande salone del nuovo centro San Michele Arcangelo di Contigliano per l’incontro con gli operatori pastorali. Il vescovo Domenico in apertura di lavori ha voluto conoscere e far conoscere tutti coloro che operano a vario titolo all’interno della diocesi, fornendo così uno scenario completo e dettagliato di mansioni e competenze.

A seguire, un intervento incentrato sul tema della montagna, ispirato al libro “Le otto montagne” del Premio Strega Paolo Cognetti. Il passato è a valle, il futuro a monte. «La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli, la montagna è un modo di vivere la vita», ha detto il vescovo. «Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura. Cosa c’è di più vicino all’esperienza della Chiesa: un cammino insieme, passo dopo passo, fatto di silenzio, tempo e misura? La montagna è una scuola di vita e ci aiuta a ritrovare l’identità e la missione del nostro servizio pastorale che è una scalata che ci porta in alto e ci fa ritrovare il gusto delle cose che costano, ma danno gioia. Come quando si arriva finalmente in vetta e non si hanno più parole, ma una strana gioia per il traguardo raggiunto».

Il suggerimento è stato quello di interpretare e rileggere in maniera creativa la nostra condizione ambientale e territoriale, che ci porta a vivere in un contesto incorniciato da vette e dirupi. Le montagne, proprio come nel libro di Cognetti, sono otto anche per l’operatore pastorale: tre a descrivere lo spazio, le altre il tempo, e le relazioni.

Quali sono dunque le otto montagne dell’operatore pastorale? La prima è certamente la Chiesa locale, «secoli di storia alle spalle e oggi una comunità dispersa e spopolata. Far parte della Chiesa locale è un modo per non restare sospesi in aria. Oggi manca questo radicamento in un territorio concreto e si tende a vivere a mezz’aria, col rischio di essere sospesi nel vuoto. Al contrario, la fede cristiana vive di un suo radicamento necessario ad una terra, ad una storia, a volti».

A sua volta, la Chiesa locale non può prescindere dalla zona pastorale, un’altra montagna da scalare considerando l’ampiezza del territorio della nostra diocesi, in cui sono state individuate 5 zone affini in quanto omogenee dal punto di vista socio-culturale: «la zona pastorale è anche forse la strada per qualche iniziativa con un minimo di presenze: catechesi, giovani, coppie di sposi, famiglie. Lo stare insieme vale per i preti, le suore, i laici».

La terza montagna è a livello della nostra dimensione abituale. La parrocchia tuttavia appare come una scelta non scontata, e «resta un elemento-chiave per proporre il Vangelo, a condizione che superi il suo isolamento e si apra a tutti e a tutto». Sempre nella prospettiva di non operare solo nel proprio raggio d’azione senza aprirsi all’esterno, si inquadra il lavoro degli altri operatori pastorali: «Spesso si lavora per compartimenti stagni, quando non addirittura per contrapposizione. E così accade che i catechisti non sappiano nulla di quelli della Caritas e il coro sia una realtà a se stante. Bisogna ritrovare la strada di una comunione di intenti che fa ritrovare dentro la stessa proposta, pur con compiti diversi. Abbandonare personalismi e isterismi è la via per dare al piccolo gruppo degli operatori il compito di garantire alcuni servizi per tutti senza che nessuno si senta di troppo».

Così, l’operatore pastorale può agire attraverso diversi campi d’azione «intercettando gli ambienti vitali dove incontrare le persone», come la scuola, lo sport e la musica. Occorre dunque allargare le proprie vedute e «spingersi oltre le nostre strutture e cercare dove la gente vive, anche perché è in questi ambienti che si possono trovare elementi di innesto con il Vangelo». Le famiglie e il gruppo sono altre due vette da raggiungere con fatica ed impegno. «Un operatore non può disattendere la rete di affetti e di responsabilità che rimane un appiglio su cui costruire. E troverebbe sicuramente qualcuno disponibile con proposte adatte, con orari e linguaggi adeguati».

Inoltre, occorre puntare sul gruppo per individuare «il clima che può tirare e aggregare e non le nostre proposte ad uno ad uno, poiché la chiesa non è mai un cammino individualista, ma sempre una proposta aperta ad altri». L’ultima montagna individuata dal vescovo Domenico è quella della comunicazione cartacea e digitale, da cui un operatore pastorale non può certamente prescindere: «può trovare in Rete tanto materiale utile per la sua attività, per informarsi e per formarsi». Un’informazione anche e sopratutto derivante dallo strumento della stampa diocesana con una sua storia antica e recente. Il passato è a valle, il futuro è a monte. «Anche per l’operatore pastorale questa è l’intuizione da preservare. Se si sta a valle del si è sempre fatto così non si va da nessuna parte. Solo provando a scalare, una dopo l’altra, le otto montagne si apre davanti a noi qualcosa di inedito. Nel quale consiste l’identikit dell’operatore pastorale per noi qui e ora».

[17.02.2018] Incontro con gli operatori pastorali – Slides