Il vescovo agli insegnanti di religione: cultura ed educazione, non semplice istruzione

Si è svolto nel pomeriggio del 30 settembre nel salone della parrocchia di Campoloniano il primo incontro di mons. Domenico Pompili con i docenti di religione cattolica. Un’occasione durante la quale il vescovo di Rieti ha voluto dare tre sintetiche linee guida agli insegnati.

Per prima cosa, ha spiegato il vescovo, l’insegnante di religione deve fare cultura: «lo specifico di questo insegnamento scolastico è quello di promuovere cultura e non evidentemente di fare proselitismo. Tantomeno di utilizzare il bacino scolastico per fini extrascolastici. Ciò che compete alla scuola è per sua natura coltivare la dimensione profonda dell’umano, in particolare i desideri e i più radicali interrogativi dell’esistenza. Da un insegnante di tal specie ci si attende che elevi il livello della curiosità che giace dentro il cuore dei ragazzi. Che sono come ‘sdraiati’ (M. Serra)».

L’insegnamento della religione è educazione e non semplice istruzione ha proseguito don Domenico. «Educare richiede un approccio integrale sia nel docente che nell’alunno. Non si tratta di travasare delle nozioni ma di suscitare un’apertura alla dimensione religiosa che è una componente essenziale della cultura. La religione come espressione pubblica della fede richiede che si sappia valorizzare tutto, la letteratura e perfino la matematica (cfr. A. Einstein) per risollevare la questione del fondamento. Ciò non può essere senza una linearità del docente che educa prima con quello che fa, poi con quello che pensa, infine con quello che dice».

L’idr non è agnostica, impersonale, ragionevole ha concluso mons. Pompili: «l’insegnante non esce come entra dall’aula. Non è un portatore asettico di qualcosa, ma è il messaggio stesso. Pertanto va curata questa interazione tra quel che si vive, si pensa, si dice e la materia in oggetto. Non si può pensare di vivere la relazione con gli alunni come una semplice relazione asimmetrica senza esporsi, contaminarsi, raccontarsi. Come in negativo confessa S. Onofri nel suo ‘Registro di classe’: “Sono stufo di questo sapere agnostico, impersonale, ragionevole”».