Musica

Il tenore Vincenzo Costanzo: «Torno in scena dopo aver vinto la malattia»

L'artista 28enne ha aperto il Lerici Music Festival cantando Puccini. «La mia forza arriva dai valori. E presto sarò alla Scala»

«Sono molto felice, questo è stato il mio primo concerto dopo il lockdown accanto a una icona come Carmen Giannattasio. Il pubblico ha risposto molto bene». Si illuminano gli occhi verdi del giovane tenore Vincenzo Costanzo, 28 anni e già da 10 anni sulle scene dei più importanti teatri del mondo, che lunedì ha inaugurato con un applaudito recital pucciniano il Lerici Music Festival (3-16 agosto) . Un talento precoce, il ragazzo di Somma Vesuviana, cresciuto con i nonni contadini a pane e valori antichi. Primo fra tutti, quello del sacrificio. E Vincenzo lo sa bene. È quello che lo ha portato dal coro delle voci bianche del San Carlo di Napoli a diplomarsi al conservatorio, ma anche a laurearsi in ingegneria informatica e a vincere l’Oscar della Lirica nel 2014 per la bellezza della sua timbrica, esuberante ma velata da un filo di malinconia. L’Arena di Verona, la Fenice di Venezia, il Massimo di Palermo, il Carlo Felice di Genova, la Scala, il Maggio Musicale Fiorentino, San Francisco e Berlino lo hanno visto diretto da Myung-whun Chung, James Conlon, Daniel Oren, Franco Zeffirelli, Liliana Cavani.

Una scalata inarrestabile, frenata dal Coronavirus ma anche, prima dell’emergenza, da un problema di salute che il giovane tenore non ha mai raccontato prima. «Due anni fa ho avuto un tumore allo stomaco – si confida Costanzo facendosi serio e guardandoti dritto negli occhi – . Stavo cantando nella Rondine a Berlino quando ho sentito un reflusso gastrico strano. Sono andato subito a fare dei controlli e mi hanno scoperto un tumore: sono stato operato subito ed ora va tutto bene. Per questo ribadisco il valore della prevenzione. Sono stato un anno fermo, anche sui social, e sono molto maturato. Vedo la vita sotto un’altra prospettiva». Accanto a Vincenzo, oltre alla famiglia, sono stati in quel periodo difficile il suo maestro di canto Piero Giuliacci e il nuovo agente Saverio Clemente. «Loro hanno creduto in me. Ho fatto riabilitazione vocale per un anno, ed ora canto meglio di prima» aggiunge il giovane caparbio tenore cui il coronavirus ha bloccato importanti lavori, alla Scala Ballo in maschera con Zubin Mehta, dove è cover di Fabio Sartori, e a Monaco I Masnadieri. «In Italia la situazione è vergognosa, non si riconosce il lavoro degli artisti e dei lavoratori dello spettacolo – aggiunge dispiaciuto – . Io combatterò come hanno fatto tanti colleghi, mai come in questo periodo si è capita l’importanza della musica».

Di cose ne ha capite tante in questi ultimi due anni Vincenzo. «Noi siamo di passaggio su questa terra. Il nostro scopo è amare il nostro prossimo e lasciare un ricordo di noi alle persone care. E con la musica si può fare». Ma la saggezza e la forza di volontà di questo giovane artista arrivano da lontano, da quando un giorno i suoi genitori si separarono e abbandonarono lui di nove anni e il fratellino di un anno lasciandoli ai nonni. «Un detto napoletano dice “La necessità rompe la legge” – spiega il tenore con grinta – . Se hai un fuoco sacro studi, ti impegni, perfezioni la tecnica. Io ho avuto tante difficoltà, ma da mio nonno ho ereditato valori antichi. Lui è un contadino del sud, ha dato tutto per i suoi sei figli che ha fatto tutti laureare, come pure me e mio fratello. Mi ha cresciuto e lo ringrazio. Grazie a queste sofferenze sono il Vincenzo di oggi».

Tanti anche i momenti felici per quello scugnizzo che da piccolo vinse pure lo Zecchino d’oro con la canzone Guapparia, «un’esperienza indimenticabile », e che al nonno deve la carriera: «A scoprire il mio talento è stato lui: avevo sei anni e ogni volta che sentivo un certo spot con l’aria La donna è mobile salivo sulla sedia e la cantavo. Facevo la stessa cosa quando vedevo in tv i tre tenori. Il mio primo debutto lo feci nel coro della chiesa».

Il più bel complimento ricevuto sinora? «Me l’ha fatto un amico. Mi ha detto: “Nella tua voce sento una lacrima”. È vero, la sofferenza scalfisce l’anima e il canto è anima». Provenire da una cultura contadina cristiana, riconosce, gli ha dato quella solarità che nemmeno la malattia è riuscita a scalfire. «Sono cresciuto con dei valori diversi dal mondo che mi circonda – aggiunge – Girando il mondo e confrontandomi con varie religioni mi sono chiesto: qual è il vero Dio? Cos’è davvero la fede? La risposta me l’ha data un mio caro amico prete, don Marco. “Tu da bambino non conoscevi la musica, giusto? Ma cantavi. La musica ti veniva da dentro senza sapere. Ecco, la fede è lo stesso”. Mi ha illuminato».

da avvenire.it