Il tema della prima GMG

La domenica delle palme del 23 marzo 1986, a piazza san Pietro, San Giovanni Paolo II, nel pronunciare la prima omelia legata alle GMG, indicava ai giovani uno dei temi più importanti e delicati della fede cristiana, dare ragione della propria speranza in Gesù.

Il tema è delicatissimo e provocatorio, chiama in causa la capacità di saper rispondere, in modo autentico e credibile, a coloro che chiedono come si fa ad essere certi della promessa di Gesù, come si riesce a sentire Dio accanto ogni giorno, tanto da renderlo l’orizzonte di senso a cui è finalizzata la propria l’esistenza, come si fa a relativizzare il “tutto di sé”, a Dio, tanto che qualsiasi altra esperienza, desiderio e persona, hanno un valore relativo e secondario.

Impresa certamente difficile, eppure possibile, da sempre, perché è l’amore stesso che Dio ci dona ogni giorno, che ci rende capaci di narrarlo, raccontarlo, nella semplicità come nella complessità, nel linguaggio come nei gesti.

Il testo è tratto dalla 1 lettera di Pietro, un componimento compreso all’interno del gruppo delle lettere Cattoliche del Nuovo Testamento, così chiamate perché non dirette a specifiche persone ma ai credenti in generale.

L’intento della lettera, certamente ben sintetizzato dalle parole scelte dal Papa, intende sollecitare sia una presa di coscienza della novità che il cristianesimo porta in sé, che consolidare la propria fede nel confronto con un mondo fortemente critico e a volte oppositivo ad essa.

La fede, vissuto personale che si pone alla base delle scelte individuali e comunitarie, porta inscindibilmente con sé la forza del convincimento e della persuasione, parole buone e comprensive accompagnate da opere e gesti altruistici nonché rinunce e sacrifici.

Forse, parafrasando un celebre filosofico impegnato nel capire come l’uomo può davvero conoscere, potremmo dire che la fede senza le opere è vuota, le opere senza la fede, sono cieche.

Dare ragione della speranza che è in noi, significa quindi essere pieni di amore e non essere ciechi e disorientati. È chiaro che occorrere leggere l’intera lettera per coglierne il significato più ampio e autentico, ma è indubbio che il suo tratto centrale è l’esortazione alla fortezza della fede e alla perseveranza della speranza, delineando i tratti del cristiano come costruttore dell’agostiniana “Città di Dio”.

Nell’omelia di quella mattina, il Papa usò parole chiarissime nel riconoscere che in quel preciso momento iniziava la tradizione della Giornata delle Gioventù, un cammino la cui portata era evidentemente già stata compresa dal Pontefice.

Il tema del “dare ragione della propria speranza”, è il fondamento di ogni GMG, una sorta di filo rosso che le collega tutte perché ciascuna è, a livello mondiale, l’espressione della speranza che milioni di giovani ripongono in Gesù. Già l’esserci è quindi dare ragione della speranza, ma non è un esserci qualsiasi, perché rimanda ad un’altra dimensione tipica delle GMG, quella della gioia, capace di unire persone che parlano lingue diverse e di far crollare i muri dell’indifferenza e della chiusura.

Tanti i modi per coniugare il “dare speranza”, ma quelli riconducibili alle GMG come non riferirli proprio a questi due aspetti: l’esserci e il condividere la gioia di aver trovato Dio.

Un’esperienza con queste caratteristiche ne richiama tante altre … la fiducia verso l’altro, il riuscire a guardare la “luna” e non fermarsi al proprio “naso”, uscendo così da un egocentrismo, anche culturale, e vaccinandosi dal conseguente narcisismo, sperimentare altruismo, condivisione e il senso dell’attesa di un incontro che avviene ogni giorno e di si è certi che sarà pieno e definitivo.

Sono quindi i segni visibili di fede e d’amore che danno ragione del desiderio e del coraggio della speranza cristiana, una testimonianza coerente, mite, dolce e credibile dell’amore di Dio.