Il servizio della Carità: affinché sia completo

Il ”motu proprio” di Benedetto XVI: contenuti e indicazioni.

I credenti in Cristo hanno ricevuto il comandamento nuovo dell’amore (cfr 1Gv 15,12) e sono chiamati a offrire all’uomo non solo un aiuto materiale, ma anche un ristoro e la cura dell’anima. Benedetto XVI richiama pastori e fedeli affinché l’impegno caritativo sia vissuto, per così dire, a tutto tondo.

Lo ha fatto recentemente attraverso il documento “De caritate ministranda”. Uno dei punti centrali è: «Nell’attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno». C’è dunque un volto specifico della carità cristiana, che fa sì che gli interventi umanitari della Chiesa non siano semplici, seppure meritevoli, opere assistenziali.

Le iniziative organizzate nel settore della carità sono espressione di una virtù, che è teologale, perché ha in Dio la sua origine e il suo compimento; una virtù che conduce a vedere nell’altro non solo un proprio simile, ma un figlio di Dio. Una virtù che conduce a occuparsi non solo di provvedere al pane materiale, ma anche a quello spirituale, ugualmente necessario. In questo senso l’azione caritativa ha il sapore della testimonianza e dell’annuncio del Vangelo di Cristo. La carità spinge ad andare verso l’altro, spinti dal pensiero che Cristo ha amato per primo.

Inoltre, chi è impegnato nelle opere caritative ha un compito anche nei confronti della comunità ecclesiale di appartenenza, un compito pedagogico. Si tratta di favorire «l’educazione alla condivisone, al rispetto e all’amore secondo la logica di Cristo». Nella Chiesa non esistono specialisti della carità, quasi fossero delegati a questo compito specifico, ma tutti devono ugualmente sentirsi impegnati nella condivisone ed anche nel retto uso dei beni materiali. La sobrietà e il risparmio possono essere imposti dalle circostanze della vita, ma ancora prima dalla logica dell’universale destinazione dei beni della terra.

Nel piano provvidenziale di Dio tutti gli uomini devono avere uguale accesso ai beni di questo mondo e il superfluo, cioè quello che eccede rispetto al giusto soddisfacimento delle proprie necessità, di per sé, è dell’altro, del prossimo, cui manca e per questo, se non può essere condiviso immediatamente, almeno va rispettato. Sapersi accontentare di quello che si ha, non fare sprechi, vivere sobriamente sono forme di amore per chi ha meno e una testimonianza cristiana, oggi attesa da molti.

Il servizio della carità, insieme all’annuncio della Parola di Dio e alla celebrazione dei Sacramenti, appartiene all’intima natura della Chiesa e, pertanto, rientra tra i compiti e le responsabilità dei vescovi. Su che cosa devono vigilare i vescovi? Nella parte dispositiva del “motu proprio”, Benedetto XVI chiede che essi curino che le attività caritative svolte dai fedeli «mantengano vivo lo spirito evangelico» (art. 6) che, ad esempio, conduce a vedere nel bisognoso Cristo stesso. Ancora è dovere dei vescovi e dei parroci e sacerdoti che collaborano con loro «impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa» (art. 9).

A questo proposito occorre ricordare che per la Chiesa la carità non può essere disgiunta dalla verità; questa non è teoria astratta o insieme di principi granitici, ma è un insegnamento e una parola che vengono da Cristo e sono attualizzati dalla Chiesa. La verità è il metro secondo cui servire l’uomo; è la piena comprensione di quello che la persona è ed è chiamata a essere secondo il progetto di Dio. La carità è amore vero, perché pienamente rispondente, non ai desideri propri o del prossimo, ma al bene integrale della persona. Il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza; tutti i fedeli hanno il diritto e il dovere d’impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo che Cristo ha lasciato. All’esercizio della “diakonia” della carità la Chiesa è chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla Chiesa universale; per questo c’è bisogno anche di un’organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato, organizzazione articolata anche grazie a espressioni istituzionali.

Il “motu proprio” di Benedetto XVI colma anche un vuoto legislativo: se infatti il Codice di diritto canonico parla ampiamente dei compiti del vescovo in ordine all’annuncio della Parola di Dio o in ordine alla celebrazione dei Sacramenti, non lo fa con altrettanta misura per l’attività caritativa, in quanto anch’essa ambito specifico dell’attività episcopale.

One thought on “Il servizio della Carità: affinché sia completo”

  1. Maria Laura Petrongari

    La Carità. Sarebbe bello curare la formazione spirituale delle persone alla dimensione del grande valore della carità così come proposta e vissuta da Gesù. La carità non è gettare briciole di pane ai bisognosi come faceva il ricco epulone quasi che i poveri siano la personaificazione dell’accattonaggio. La carità è il sentimento sublime della fratellanza tra noi uomini e donne tutti figli di Dio. La carità è restituzione.E’ riconciliazione con Dio nella condivisione con i fratelli dei beni che appartengono solo al creatore perchè solo Dio è l’origine di ogni bene. L’appropriazione esclusiva dei beni fondamentali e necessari alla vita , nega l’osservanza del comandamento che Gesù ci ha indicato come il più importante senza il quale il dichiararsi credenti diventa una affermazione senza senso. Chi accumula ricchezze e potere solo per soddisfare le proprie brame deve interrogarsi sul senso della propria vita. Il cristiano, lo ripeto a me stessa, quando fa qualche opera di bene deve fare ciò nel nome del Signore e non per gratificare se stesso o farlo con lo stesso spirito con cui lo fa un laico o un non credente, che tuttavia è sempre encomiabile.Vedere nel povero , nel piccolo, nel malato,o bisognoso, Gesù stesso. Una corretta educazione alla vera carità sarebbe importante anche per evitare che la sola distribuzione di beni di prima necessità non accompagnata da azioni di promozione integrale delle persone e da azioni e progetti di prevenzione delle criticità sociali che spettano a chi si fa prossimo, non risolva l’entità della povertà.stessa. L’esperienza caritativa sia individuale che collettiva messa in campo dai credenti può essere certamente sostenuta dalla formazione che i nostri Vescovi possono impartirci aiutandoci ad allargare ancora di più lo sguardo a questi profili.
    Maria Laura Petrongari

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