Scomparse

Il segreto di Morricone: è vivo, oggi come ieri

Ennio Morricone lavorava tanto perché temeva che quel lavoro durasse poco, che potesse svanire da una stagione all’altra. Scrivendo musica per film, diceva a se stesso: «Finché posso, vivo»

Ha musicato tantissimi film, Ennio Morricone, e chi fa tante opere (film o quadri o libri) rischia di svalutare il prodotto che fa, vien da pensare che lo calcoli un tanto al chilo. Che non lo consideri prezioso. Ma se poi ti documenti sulla vita di quell’autore, può succedere che lo trovi del tutto diverso: Ennio Morricone lavorava tanto perché temeva che quel lavoro durasse poco. Che potesse svanire da una stagione all’altra. Il suo lavoro era la sua vita. Scrivendo musica per film, diceva a se stesso: ‘Finché posso, vivo’. Conosco autori come lui, in altri campi, e non li amo. Conosco scrittori. Firmano contratti per libri che non hanno in mente, e li vendono all’editore prima di averli scritti. Errore micidiale.

Perché poi succede che la scadenza si avvicina e tu quei libri li devi consegnare: hai firmato, hai riscosso l’anticipo, adesso devi dare l’opera. Cosa fanno gli autori che han firmato il contratto? Consegnano l’opera. E se l’opera non è finita? La finiscono in fretta e furia, e la consegnano. E l’editore cosa fa? Ha pagato, l’ha comprata, è sua, non gli resta che stamparla e venderla. È un suo diritto. Anzi: poiché è un fabbricante e venditore di prodotti, è un suo dovere. L’opera esce, tu che fai parte del pubblico la compri, e a quel punto ti accorgi che non è un’opera, è un prodotto. Il rischio di un autore molto prolifico è questo: di non fare opere, ma prodotti. Non faccio nomi, ma scrittori che hanno scritto libri che sono prodotti e non opere ne conosco tanti. Non sopravvivono a se stessi. I loro libri muoiono con loro.

È giusto così. Del resto, a loro non gliene importa niente, scrivevano per guadagnare, non per sopravvivere. Ma Ennio Morricone ci teneva così tanto a sopravvivere che ha scritto l’annuncio della propria morte per smentirla. Dice: «Io, Ennio Morricone, sono morto». Ma se lo dice vuol dire che non è morto, è vivo. È quello il significato dell’annuncio: ‘Io, Ennio Morricone, non sono morto’. Spulciando nella sua vita scopriamo che suonava la tromba ma se ne vergognava, e in casa la nascondeva. Conosco poeti che nascondono in cassetti segreti i primi quaderni delle loro poesie, nel terrore che la madre li scopra. Baudelaire dice che la madre che scopre di avere un figlio poeta si pente di aver deposto sul mondo questa ‘vergogna’. Posso dire, per esperienza, che è buona cosa escludere i parenti dal pubblico della propria arte, non si scrive per la madre o le sorelle o la fidanzata o la moglie.

Se scrivi per loro, tanto vale che stampi il libro in tre copie, e gliene dai una a testa. Morricone voleva un pubblico ‘vasto’, e per questo suonava la tromba, perché la tromba ha più mercato e più pubblico. Non riesco a capire come la fidanzata, poi moglie, Maria Travia, abbia reagito quando ha scoperto che il fidanzato e poi marito suonava la tromba. Però se l’ha scoperto, poiché lui cercava di non farlo scoprire, vuol dire che s’è messa a indagare. (Dopo settant’anni sono ancora marito e moglie, e questo io l’apprezzo: dove sta scritto che Oscar e divorzio sono sinonimi? Che Strega vuol dire separazione?

C’è qualcosa di ‘cattolico’ in Morricone, e lui l’ammette: «Sono cattolico, ma credo che Gesù Cristo sia stato il primo comunista»). Naturalmente anche qui scatta il principio freudiano, per cui ciò che nascondi è in realtà ciò che vuoi mostrare, e ciò di cui ti vergogni è ciò di cui ti vanti. Morricone era convinto che la sua musica fosse la vera arte dei film per cui lavorava. Si dice che abbia dato del ‘cretino’ a Quentin Tarantino. Aneddoto dubbio. Non so se sia vero, però è verosimile.

La Rai sta mandando in onda una serie di film musicati da Morricone, e sono film che durano perché dura la loro musica. Qualcuno dice che Morricone è Mozart. Non dirò mai questo. Ma dico che è vivo, oggi come ieri.

da avvenire.it