Il rovescio del peperoncino

La Fiera Campionaria Mondiale del Peperoncino ha chiuso i battenti. E gli organizzatori hanno sicuramente il diritto di sentirsi soddisfatti. Sono certamente riusciti a fare un passo avanti nella loro missione. La “grande rivoluzione culturale proletaria” della “cultura piccante” ha definitivamente rotto gli argini. Nella casa di ogni reatino c’è l’agognato “libretto rosso”.

Come non sentirsi migliori? Finalmente sappiamo tutto del Jalapegno, abbiamo imparato a padroneggiare l’Habanero, conosciamo le proprietà del Trinidad Scorpion, del Bhut Jolokia e del Seven Pod. Abbiamo definitivamente raggiunto il karma della piccantezza.

E poi, diciamoci la verità: ci siamo divertiti. Pareva quasi di vivere dentro il televisore, immersi com’eravamo negli show cooking che tanto vanno di moda. E come accade con la televisione, siamo pure inciampati nella divulgazione scientifica, nella rubrica di economia, nel circo, nel talent show della domenica. C’è chi giura di aver visto pure i cartoni animati all’ombra di qualche portico.

Bisogna prenderne atto: Rieti Cuore Piccante ha scosso la città dalle fondamenta. Persino l’Aula Consiliare del Comune, da tempo inutilizzata, è stata rispolverata. È stata la degna cornice del premio assegnato al degustatore di fama internazionale Marco Sabellico.

Ma che ve lo raccontiamo a fare? L’abbiamo vista in 140.000 la forza del peperoncino. Tante, infatti, sono state le presenze ufficialmente registrate quest’anno. Di sicuro una boccata di ossigeno per i nostri negozi e le nostre attività produttive, alle quali va consigliata una rapida conversione al trend del momento. Con la ferrovia non l’abbiamo spuntata, ma non per questo dobbiamo perdere l’ennesimo treno!

Ce la faremo? Chi vivrà vedrà. Intanto ci godiamo il successo di quest’anno. O almeno ci proviamo. Sì, perché la nostra felicità è minata da un nodo irrisolto, da una domanda che rimane aperta. Rieti è stata davvero valorizzata da questa manifestazione? O piuttosto è stata usata, quasi occupata, piegata da interessi che con la città hanno assai poco da spartire?

Siamo seri: qualcuno crede fino in fondo che il peperoncino offra una soluzione, un appiglio, una prospettiva? Quale sarebbe il ruolo della città nella sbandierata “filiera del peperoncino”? Stiamo per adattare la nostra agricoltura al fenomeno del momento? Davvero vedremo sterminate praterie di capsicum ondeggiare al vento della piana?

Tutto può essere, ma ci rimane un sospetto. Forse l’entusiasmo di questi giorni non è il segno di una ritrovata vitalità, ma della disperazione. Forse siamo talmente messi male da essere disposti ad attaccarci a qualunque cosa, pure al mito artificiale e di seconda mano del Re Peperoncino.

Sarà che ci piace di illuderci, di affidarci ai salvatori della Patria. Sarà che la stampa, tutta allineata e coperta, in questo ci dà una mano. Nulla di nuovo sotto il sole: è la solita reatin way of life.