Il respiro di Caterina

È quello rarefatto della sua malattia rara, raccontato in un libro e nel Web

“Se non sei tu a parlare della tua malattia, nessuno lo farà e nessuno ne saprà niente, né di te né di milioni di altri malati. Significa che non devi cedere alla tentazione di isolarti, chiudendoti in casa, protetto dalla famiglia e ignorato dal mondo”.

Caterina Simonsen è affetta da alcune malattie rare, e questo significa avere un ulteriore svantaggio, perché non esiste ancora una “letteratura”, come si dice in termini medici, in grado di conoscere più a fondo e meglio combattere quelle patologie. Anche perché, come lei stessa confessa in “Respiro dopo respiro. La mia storia” (Piemme, 235 pagine, con la collaborazione di Daniele Mont d’Arpizio), è un problema di “mercato” farmaceutico: “Già, perché se aspettiamo che le grandi imprese farmaceutiche facciano qualcosa per noi ci sbagliamo di grosso. Per quale motivo dovrebbero investire nelle malattie rare? Il mercato è troppo piccolo e i costi troppo alti”.

Quella che Caterina racconta è una battaglia continua, non solo con una malattia che le porta crisi respiratorie e dipendenza dalle macchine, che trasforma un banale raffreddore in una corsa disperata in ospedale, ma anche con chi non conosce il problema e non ha idea di cosa significhi dover girare con una mascherina ed essere attaccati a un tubo per poter respirare. Ma c’è altro. Quando si è rivolta al web per sostenere la ricerca, che è fatta anche di sperimentazione sugli animali, si è scatenata una caccia alla malata, nel senso che ha ricevuto offese e minacce da personaggi che si definiscono animalisti ma che nelle pieghe del loro discorso fanno trapelare un razzismo contri i sofferenti – che secondo loro dovrebbero accettare di morire, punto e basta -, come in alcuni momenti oscuri del Novecento. Ora, a prescindere dalle posizioni individuali sulla ricerca farmaceutica e sulla implicazione degli animali, questo libro riapre – per l’ennesima volta – un discorso sul web: Caterina è stata fatta segno di minacce di morte, di insulti, di provocazioni e questo rivela la faccia oscura di un sistema che se è vero che apre il mondo alla comunicazione totale, lascia indifese delle persone, anche giovanissime, aggredite non solo per il fatto di esprimere proprie posizioni, come l’autrice di questo libro, ma anche per la loro debolezza, per un difetto, per la loro pelle, e questo lede i diritti, perfino quello all’esistenza, della gente.

“Respiro dopo respiro” pone quindi un duplice problema: la situazione di coloro che sono colpiti da malattie rare e i limiti della comunicazione globale. Si ha come l’idea che l’individuo oggi conti di meno, al di là di una propaganda che tende a mettere in risalto l’universalità del progresso. L’individuo conta di meno a livello medico non per la scarsa applicazione del personale che anzi, come appare nel racconto, fa il possibile, ma perché la grande industria farmaceutica investe laddove conviene, lasciando scoperte zone di sofferenza che ci mettono davanti una questione vecchia come il mondo: il rapporto tra individuo e collettività. Finché la collettività è retta da codici precisi che tengano conto dei diritti individuali, allora va tutto bene. Quando una forma qualsiasi di collettività diventa un totem, allora scopriamo la sua ambivalente potenza, quella creatrice, ma anche quella distruttrice.

Una ragazza malata di 26 anni fa i conti con una forma di impunità che passa attraverso il web, che rischia di far passare in seconda battuta gli aspetti positivi di questa comunicazione.

Alla fine del libro, si ha da una parte l’amaro in bocca per questa degenerazione del dibattito on line, dall’altra la riscoperta del bene più prezioso che si ha, la vita. Sembra una banalità, ma come scrive Caterina, certe cose acquistano valore per noi solo quando le si perde, ed allora è tardi: “la malattia ti ricorda quanto la vita è bella. Quanto è preziosa. Ti insegna che, come dice il Piccolo Principe, l’essenziale è invisibile agli occhi. E non bisogna mai darlo per scontato, anche se è la cosa più naturale del mondo”. Come lezione di vita contro la rincorsa all’inutile e all’effimero, non c’è male.