Papa Greccio

Il presepe? Un linguaggio che arriva a tutti

Il vescovo Domenico: «A volte siamo troppo cerebrali, alla fede serve colore comunicativo». Il santo di Assisi ha inventato un medium di comunicazione che fa leva su tutti i sensi e attraverso i sensi ci porta a ritrovare il senso Portiamo questa creatività anche nel mondo digitale

Un messaggio di mitezza e semplicità che colpisce ogni cuore. Ma anche un mezzo potente per trasmettere il Vangelo. Perché questo è, sottolinea monsignor Domenico Pompili, il presepio: «Vangelo vivo che parla ai nostri contemporanei». Il giorno dopo la visita del Papa a Greccio, il vescovo di Rieti – la diocesi nel cui territorio si trova il Santuario francescano – ne traccia un primo bilancio alla luce della Lettera Admirabile signum che il Pontefice ha firmato proprio là dove san Francesco allestì la prima storica rappresentazione presepiale.

Monsignor Pompili, qual è l’eredità di questo evento?

È un invito a riscoprire le forme di comunicazione religiosa più tradizionale, cercando di ritrovare l’originale bellezza della Buona Novella. Dobbiamo riconoscerlo. A volte il nostro linguaggio religioso è un po’ cerebrale. Il Papa invece, con la Lettera e con la visita, ci fa ritrovare tutti i colori comunicativi che il presepe evoca.

Francesco lo scrive chiaramente nel documento: il presepio è un mezzo per trasmettere la fede di generazione in generazione.

Sì, perché è Vangelo vivo che parla un linguaggio facilmente comprensibile da chiunque. Inoltre è un imparare facendo, particolarmente adatto a rimettere in moto quella catena generazionale che la nostra epoca ha messo in crisi. Nel fare il presepio in famiglia o anche in altri luoghi si può infatti percorrere l’itinerario che conduce al cuore del Vangelo. Ed è anche quello che il Papa fa con la sua Lettera che parte da elementi come la notte, le montagne, lo scenario, insomma, per passare poi ai vari personaggi e guidarci per mano fino alla grotta di Betlemme e all’adorazione del Bambino Gesù. È tra l’altro un percorso che ci aiuta a riprendere la capacità di racconto che rischia di essere penalizzata.

Il Papa invita anche a fare il presepio anche nei luoghi pubblici, oltre che nelle case. Di solito su questo tema c’è polemica. Qual è la sua opinione in proposito?

Il presepio, così come ce lo presenta la Lettera di papa Francesco, va oltre lo sterile dibattito tra coloro che usano i simboli religiosi come arma contundente per riaffermare l’identità e quelli che all’opposto, in nome della laicità, non li vorrebbero esposti in pubblico per non urtare la sensibilità altrui. Agli uni va ricordato che san Francesco fece il presepio a Greccio dopo essere tornato dalla Terra Santa in tempo di crociate, proprio per “smilitarizzare” il rapporto con i luoghi della vita terrena di Gesù. Agli altri invece direi che l’annuncio del Vangelo che si realizza con la raffigurazione della nascita del Signore – come è dimostrato dalle forme estremamente cangianti dei vari presepi – fa capire che il Vangelo stesso non sposa nessuna cultura, ma tutte le attraversa e le rispetta con il suo messaggio di amore, mitezza e semplicità.

C’è dunque una creatività evangelica che si può esprimere anche attraverso il presepio?

La risposta è sotto i nostri occhi. Basta guardare a come viene rappresentata la scena della Natività a ogni latitudine. Ed è ormai tempo di portare questa creatività anche all’interno del nostro mondo digitale. San Francesco, infatti, ha inventato un medium di comunicazione che fa leva su tutti i sensi e attraverso i sensi ci porta a ritrovare il senso.

È usanza creare sempre nuovi personaggi da mettere nel presepio. Lei chi ci collocherebbe?

Più che i vip, è il tempo di mettere le nostre famiglie. Tutti: nonni, genitori, figli, nipoti. Il Papa ci chiama ad essere non solo spettatori ma protagonisti attivi dell’annuncio. E la famiglia, che una certa cultura tende a sfilacciare, è invece il fulcro della relazione autentica con Dio e con i fratelli.

(M.Mu. / Avvenire)