Il vescovo e il Presepe: la fede nasce dall’ascolto e non dalla visione

Si è rivolto a san Francesco, il vescovo Domenico, nell’omelia del giorno di Natale, proponendo una lettura sul «gesto audace di Francesco di rivivere a Greccio il fatto di Betlemme, di cui i Vangeli attestano il contesto storico (Luca) e il significato teologico (Giovanni)», toccando «una serie di ragioni che vale la pena riscoprire». Greccio, infatti, «rappresenta una ‘scomoda memoria’, che invano si cercherà di addomesticare come nel ciclo pittorico di Assisi, dove Giotto in persona cercherà di occultarne il senso».

Si tratta di intuizioni in grado di parlare anche all’uomo di oggi, ad esempio evocando il mistero «attraverso una semplicità disarmante che chiama in causa l’immaginazione del credente e del non credente».

Dell’originario presepe di Greccio, infatti, il vescovo ha notato che «la scena è occupata dall’asino e dal bue in carne ed ossa. C’è una irruzione del mondo animale che mette in secondo piano lo stesso Bambinello. Perché questa scelta? Forse la sensibilità animalista di Francesco? E se fosse la necessità di non descrivere tutto, ma di reinventare la scena grazie alla parola di Dio, di cui il diacono Francesco si fa interprete?»

Ce lo lascia intendere Tommaso che annota: «Spesso, quando voleva chiamare Cristo ‘Gesù’, tutto infervorato nello slancio d’amore lo chiamava ‘il Bambinello di Betlemme’. Pronunciando quel nome ‘Betlemme’ lo prolungava come il belato di una pecora e lo diceva riempiendosi la bocca di voce o per meglio dire di tenero affetto. E ogni volta che diceva ‘Bambino di Betlemme’ o ‘Gesù’, passava la lingua sulle labbra, quasi ad assaporare tutta la dolcezza di quelle parole per cibarsene».

«La fede nasce dall’ascolto e non dalla visione» ha sottolineato mons. Pompili. «Non si vede Dio (Gv 1). Lo si ascolta. E perciò affinare l’ascolto, fare spazio a Dio e ai tempi e ai suoi modi, è l’unica cosa necessaria. Le cose che contano non sono quelle che facciamo. Sono quelle che riceviamo da Lui».

Scarica il testo integrale dell’Omelia di mons. Domenico Pompili