“Il Papa non tollera che il popolo sia maltrattato”. La riflessione di Gianni Valente dopo il viaggio in Messico

“Francesco valorizza e plaude quelli che vivono la vocazione come servizio al popolo di Dio, mentre mette in guardia quanti riducono la vocazione religiosa a un lavoro o, peggio, a uno strumento di dominio. È un’esperienza che lui stesso ha vissuto da sacerdote e vescovo”. Così il giornalista Gianni Valente, che riflette su alcuni dei temi principali emersi dal viaggio apostolico del Papa in Messico: la questione migratoria, il narcotraffico, le frontiere, la fede del popolo, le carceri, la figura del sacerdote e del religioso, gli abusi sessuali, la Cina

“L’esercizio del giudizio è proprio al ruolo del Papa, ma non si tratta di affermazioni politiche: il riferimento è il Vangelo. Nella semplificazione dei media, le parole di Francesco sono state lette come una scomunica diretta a un personaggio politico. In realtà, ha espresso un criterio che vale per tutti, ovvero che un certo tipo di approccio al fenomeno delle migrazioni non è cristiano. Questo non porta automaticamente a una sconfessione di carattere politico”. Ne è convinto il giornalista Gianni Valente che commenta la risposta data da Papa Francesco, durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Messico (12-18 febbraio), a una domanda su Donald Trump, candidato repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti d’America: “Una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana”.

La gestione dei flussi migratori è da sempre una preoccupazione per il Papa.
Accogliere lo straniero rientra tra le opere di misericordia corporali. È un criterio che si può applicare alle scelte politiche europee. Ci troviamo di fronte a un problema epocale di dimensioni globali. In questo senso, il viaggio in Messico è stato pieno di riferimenti al mondo. L’approccio del Papa è realistico, non insegue idealismi astratti o falsi buonismi.

Francesco richiama all’accoglienza come unica risposta che consenta di gestire politicamente il fenomeno migratorio.

Quali sono le ragioni che hanno spinto Francesco ad affrontare un viaggio in Messico?
Il Messico è nel cuore del Papa. La devozione mariana che caratterizza l’America Latina trova una delle massime espressioni in Nostra Signora di Guadalupe. E poi il Messico è un luogo di frontiera, attraversato da guerre di varia natura. Francesco conosce l’influenza del traffico della droga sull’economia mondiale, fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires. È tra i temi che ricorrono più spesso nelle sue riflessioni, insieme al traffico di armi.

In Argentina si prodigava per dare sostegno ai sacerdoti che nelle aree marginali, nelle villas miserias, portavano avanti progetti di assistenza e prevenzione per le nuove generazioni. Buenos Aires era un territorio in cui l’industria del narcotraffico spacciava i residui della lavorazione.

La droga più diffusa era il “paco”, una sostanza a basso prezzo ma tanto aggressiva.

Il Messico è anche un Paese a stragrande maggioranza cattolica…
Eppure è un luogo di contraddizione. Da un lato è evidente la fede autentica di popolo, alla quale Francesco ha voluto abbeverarsi da pellegrino. Dall’altro, però, la devozione così viscerale a Gesù e Maria si scontra con fenomeni di una tale disumanizzazione rispetto ai quali sembra che un popolo intero non riesca a trovare contromisure. Anche per questo il Papa ha invitato a guardare a Cristo e all’esempio della Madonna come sorgente per una umanità nuova.

Ciudad Juárez, 17 febbraio 2016: Papa Francesco incontra i detenuti del carcere Cereso

Prima di tornare in Vaticano, il Papa ha incontrato i carcerati a Ciudad Juárez. Il tema delle carceri è ricorrente nel suo pensiero?
Anche visitare i carcerati è un’opera di misericordia corporale. Nell’anno del Giubileo straordinario, Francesco vuole accompagnare tutta la Chiesa su questa strada. Il discorso rivolto ai carcerati è stato uno dei momenti più toccanti della visita: il Papa ha ribadito la dinamica della misericordia che non forza dall’esterno, ma si fa carico delle situazioni difficili e apre a un futuro che non è mai perduto per sempre.

Alla Madonna di Guadalupe, il Papa ha confessato di aver chiesto “che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, e i vescovi veri vescovi”.
La conversione pastorale della Chiesa è alla base. In questo richiamo continuo a dover essere autentici preti, suore e vescovi non c’è accanimento rigorista. Semplicemente, il Papa suggerisce a tutti di riconoscere la sorgente della vocazione. Bisogna ricordare che all’inizio c’è stata una forza attrattiva e liberarsi dalle dinamiche di atrofizzazione.

Francesco valorizza e plaude quelli che vivono la vocazione come servizio al popolo di Dio, mentre mette in guardia quanti riducono la vocazione religiosa a un lavoro o, peggio, a uno strumento di dominio.

È un’esperienza che lui stesso ha vissuto da sacerdote e vescovo. L’immagine di un popolo fedele e buono che viene oppresso dal clero. Il Papa non tollera che il popolo sia maltrattato. Per questo invita sempre a seguire il sensus fidei del popolo, perché lì agisce la grazia di Cristo. Ai vescovi del Messico ha detto: “Non lasciatevi prendere dalla vana ricerca di cambiare popolo, come se l’amore di Dio non avesse abbastanza forza per cambiarlo”.

Parlando della piaga della pedofilia durante il viaggio di ritorno, il Papa ha detto che “un vescovo che cambia la parrocchia ad un sacerdote, quando si verifica un caso di pedofilia, è un incosciente, e la cosa migliore che possa fare è presentare la rinuncia”.
È significativo che il Papa accosti la pedofilia alle messe nere. Nella sua percezione

gli abusi sui minori, soprattutto quando sono perpetrati da religiosi, richiamano a un sacrificio umano con tratti diabolici.

Non si tratta di un’insistenza volta a compiacere le dinamiche mediatiche. Per Francesco, nella pedofilia si tocca il cuore del mistero del male che è tanto più devastante quanto più va a stravolgere il rapporto di fiducia tra le nuove generazioni e chi dovrebbe raccontare loro l’amore di Gesù.

“La Cina… andare là: mi piacerebbe tanto!”, ha detto il Papa in aereo verso Roma. È un’ipotesi realizzabile e in quali tempi?
I tempi non li conosciamo. Francesco ha dato un messaggio chiaro alla Cina: lui è pronto ad andare. Stima la civiltà cinese ed è vicino al popolo. I cattolici e i vescovi cinesi sono confortati dalla predicazione del Papa, che seguono con facilità attraverso i nuovi media. È sorprendente quello che accade in Cina nell’Anno della misericordia: si aprono centinaia di porte sante, anche nei villaggi più piccoli, e i vescovi scrivono le lettere pastorali riprendendo i contenuti della Misericordiae Vultus. Tutti attendono che si riesca a trovare la via per normalizzare i rapporti tra la Santa Sede e il Governo, affinché sia più facile per i cattolici vivere la fede in una dimensione quotidiana.