Il ministero della Consolazione: come “consolare” i sofferenti e i malati / 4

Gesù si reca a casa: la “commensalità del dolore”.

Anzitutto, Gesù si reca a casa di Simon Pietro e di suo fratello Andrea, vuole condividere con loro un pasto in amicizia.

Il contesto dunque è quello familiare, domestico: Gesù non prende le distanze dai suoi amici, dagli apostoli e dai discepoli, non “si protegge” dalle loro domande e dalle loro richieste. Non ha paura di farsi commensale con chi ha bisogno di lui. Anzi, cerca lui stesso il rapporto diretto, immediato, faccia a faccia.

Già questo interpella tutti noi appartenenti al clero, sfida i medici, i volontari e i diversi operatori sanitari, indipendentemente dall’essere cristiani o meno, entra nelle nostra psicologia, mette a nudo i nostri percorsi interiori prima ancora che si facciano evidenti con determinati gesti e comportamenti. Tutti, senza alcuna esclusione, corriamo il rischio di allontanarci dal volto di chi c’era, di trincerarci dietro gli impegni parrocchiali e al tempo che manca, di non reggere al confronto con le domande più disarmanti e sincere dei nostri ammalati e dei loro cari: sono le domande che hanno il sapore della tavola domestica e non del prestigio del Parroco, del Diacono, del Vicario di Zona, o di una bella scrivania di un importante studio medico. Domande che imbarazzano, povere, che non fanno fare carriera, e ci riportano al dolore di tutti i giorni, che in poche battute racchiudono in se l’universo di una vita individuale o familiare, dell’amore di un marito per la moglie che sta male o di un figlio per il padre che muore!

Per ascoltare queste domande, per raccogliere questo grido – che può essere silenzioso o urlato nel pianto -, bisogna entrare nella “dimora” della persona, occorre farsi accogliere da essa, proprio come Gesù che sapeva farsi accogliere nelle case di chi più amava perché più aveva bisogno di lui.

Sta qui la dimensione che possiamo chiamare della “commensalità del dolore” e della “familiarità dello sguardo umano”. è la dimensione che nasce da una dedicazione incondizionata all’uomo sofferente, che è la forma compiuta della “carità professionale e vocazionale”, cioè la declinazione o concretizzazione della carità – che è l’istanza etica più alta della nostra vita – dentro l’esercizio quotidiano della professione medica, sanitaria, del volontariato e ministeriale nella Chiesa.