Pastorale della Salute

Il malato, la cura e la Madre

Tre i “protagonisti” della Giornata del Malato: chi cura, chi è curato e la Madre. Li ha indicati il vescovo Domenico nell’omelia della celebrazione dell’11 febbraio

Tre i “protagonisti” della Giornata del malato: chi cura, chi è curato e la Madre. Li ha indicati il vescovo Domenico nell’omelia della celebrazione dell’11 febbraio, che secondo tradizione ha visto la chiesa parrocchiale di Regina Pacis divenire per un giorno una “piccola Lourdes”. Una consuetudine che risale a ben prima dell’istituzione, da parte di san Giovanni Paolo II, della Giornata mondiale del Malato nella ricorrenza dell’anniversario della prima apparizione di Maria alla piccola Bernadette Soubirous.

E che è poi diventato un momento “canonico” nel calendario diocesano. Giunta quest’anno alla trentesima edizione, tale Giornata si è purtroppo, come già lo scorso anno, dovuta svolgere senza la presenza dei diretti interessati: quegli infermi, anche in carrozzina, che unitalsiani, operatori e volontari vari conducevano nella chiesa di piazza Matteocci e che poi sfilavano anche nella processione che, a fine Messa, accompagnava il Santissimo Sacramento facendo il giro dell’isolato rievocando i tipici riti dell’ésplanade del santuario di Lourdes. A loro si è rivolto il pensiero, «anche se, in qualche modo, siamo tutti malati», aveva detto monsignor Pompili all’inizio della Messa solenne. Mai dimenticare la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità: il malato è sempre più importante della sua malattia», ha ribadito poi don Domenico nell’omelia.

Presenti le autorità civili (in testa prefetto, questore, vertici delle forze dell’ordine, dirigenza dell’Asl e dell’ospedale), l’Unitalsi e le altre associazioni di volontariato cattoliche e laiche, gli operatori della Pastorale della salute (sotto la regia del direttore dell’ufficio diocesano, il diacono Nazzareno Iacopini) e del Centro sanitario diocesano, la rappresentanza di medici, infermieri, realtà varie del mondo della sanità, assieme a diversi fedeli, strettisi nell’ascolto e poi nella preghiera di adorazione eucaristica che ha seguito la Messa, con un solo piccolo “assaggio” dei riti lourdiani attraverso l’incedere del vescovo tra i banchi, nella navata, con l’ostensorio, per poi concludere, alla fine, innalzando il tradizionale canto dell’Ave di Lourdes.

Consegnata, al termine della liturgia, anche la lettera che, sulla scia del messaggio del Papa, l’episcopato italiano ha rivolto a tutti i curanti. A loro – compreso «il personale amministrativo» che supporta l’azione dei sanitari – si deve dire, secondo Pompili, la più profonda gratitudine per l’impegno profuso in questa difficile situazione che si è abbattuta sull’umanità, poiché è proprio senza la «loro abnegazione, al di là dello stretto richiesto dal loro lavoro, molte cose sarebbero state ancora più complicate. E perciò non possiamo non ripetere ad alta voce un grazie commosso nei riguardi di tutti coloro che fanno della cura l’oggetto del proprio lavoro».