Il lato romantico di Woody Allen

Emerge in “Magic in the Moonlight”. Tutta colpa della Francia?

“Il mondo può anche essere del tutto privo di scopo, ma non del tutto privo di magia”. Questa è una delle tante battute che costellano il nuovo film di Woody Allen, “Magic in the Moonlight”. E dal tono piuttosto ottimistico della frase viene da chiedersi se, col passare degli anni, il nichilismo e il pessimismo del regista newyorchese siano un po’ mitigati, facendo trasparire una qualche speranza. Siamo a Berlino nel 1928. La Berlino dissipata della Repubblica di Weimar, dove l’economia va a rotoli ma i berlinesi e i tanti stranieri che la popolano non si risparmiano serate lussuose in night club al ritmo della musica jazz e di ogni fantasmagorico spettacolo.

Wei Ling Soo è un celebre prestigiatore cinese in grado di far sparire un elefante o di teletrasportarsi sotto gli occhi meravigliati di un pubblico acclamante. Ma dietro la maschera, Wei Ling Soo rivela Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso e insopportabile che accetta la proposta di un vecchio amico: smascherare una presunta medium, impegnata a circuire una ricchissima famiglia americana in vacanza sulla riviera francese. Ospite dei Catledge sulla Costa azzurra e sotto falsa identità, si presenta come un uomo d’affari di nome Stanley Taplinger per smascherare la giovane ed affascinante chiaroveggente Sophie Baker che risiede lì insieme a sua madre. Già dal suo primo incontro con Sophie, Stanley la taccia di essere una mistificatrice facile da smascherare. Ma, con sua grande sorpresa e disagio, Sophie si esibisce in diversi esercizi di lettura della mente che sfuggono a qualunque comprensione razionale e che lasciano Stanley sbigottito. Ed è subito amore. Ma per un uomo cinico e sprezzante come lui è difficile leggere dietro alle vibrazioni di Sophie un sentimento sincero. Un temporale e il ricovero della zia adorata, faranno crollare il razionalismo e le resistenze di Stanley: il soprannaturale esiste eccome e si chiama amore.

L’ambientazione perfetta per un film di Woody Allen, si sa, è sempre e solo New York City. Perché lui la Grande Mela la conosce meglio di chiunque altro, la ama più della sua stessa vita e, amandola, ne capisce l’essenza più profonda. Questa pellicola non è ambientata a New York bensì nel Sud della Francia, ma la magia che Allen riesce a ricreare sullo schermo è la stessa. Sembra di muoversi all’interno di una delle storie del grande Francis Scott Fitzgerald: gli “anni del jazz”, i ruggenti anni venti, quelli che Allen ha già messo in scena nel recente “Midnight in Paris”. Tutto è perfettamente ricostruito: l’ambientazione i costumi, la musica. La Francia quindi non è la Francia delle cartine geografiche ma diventa un posto magico, assolutamente letterario, sospeso tra il romanticismo, l’ironia e la musica jazz. La scelta del protagonista maschile è altrettanto perfetta. Colin Firth è l’eroe romantico per eccellenza, dotato in più di uno humor britannico naturale. Nello scontro tra razionalità e passione, scienza e magia, reale e finzione, la bella protagonista, poi, rappresenta come l’abbandonarsi ai sensi a discapito dell’intelletto possa essere, talvolta, la soluzione più logica. Che Woody Allen abbia un’inclinazione a vedere il lato cinico della vita non è mai stato un segreto. La vecchiaia sembra avergli dato speranza e questo film la restituisce a noi. L’amore vero esiste. Certamente nei film, ma forse anche nella vita.