Il Card. Baldisseri a Rieti: «Antonio “santo sociale”, prototipo della “Chiesa in uscita”»

In occasione dell’anniversario della nascita al cielo di sant’Antonio di Padova, una gremita chiesa di San Francesco ha visto all’altare il cardinale Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, che si è detto «particolarmente emozionato» dall’occasione.

A dare lo spunto della sua omelia il mandato di Gesù ai discepoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo». «Queste parole del Risorto – ha spiegato il cardinale – potremmo anche considerarle un mandato missionario ad ampiezza universale per tutti i battezzati. L’annuncio deve raggiungere ogni creatura. Il battesimo e la fede sono un dono che Dio intende elargire a tutti gli uomini. La salvezza è offerta a l’umanità intera. I discepoli del Signore sono invitati a farsi testimoni e messaggeri di questo annuncio salvifico».

Sant’Antonio «prese sul serio le parole di Gesù risorto: la sua biografia lo dimostra chiaramente». Ma c’è di più, perché, ha spiegato il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, è possibile scorgere nel santo di Lisbona un antesignano della «Chiesa in uscita di cui parla papa Francesco». Quando infatti nella Evangelii gaudium, il pontefice afferma:

«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia»

pare di sentir risuonare le esortazioni di sant’Antonio a «non accontentarci di una pastorale di conservazione, che si prende cura di quelli che stanno “dentro”, ma dimentica i tanti che invece stanno fuori, le pecore lontane dai nostri recinti ecclesiali, che siamo tenuti a cercare, trovare, ricondurre all’unico ovile di Cristo».

Ieri come oggi, ha sottolineato il cardinale, la pastorale non può contentarsi di lasciare le cose come stanno. La Chiesa è invece chiamata a uno «Stato di missione permanente». Una vocazione alla quale, come nel caso di Antonio di Padova, si può rispondere anche tramite la predicazione. E qui sta un altro parallelo con la Chiesa e il pontefice di oggi: perché la predicazione di sant’Antonio è insieme ricca e semplice. Facile dunque l’accostamento con papa Francesco: «Quando si presenta si rimane veramente colpiti da come sa trasmettere, con facilità nella forma, la profondità del messaggio, l’amore di Cristo per tutti noi, toccando anche i cuori di tanti uomini lontani dalla pratica religiosa».

E in un certo senso Antonio, forse anche qui in parallelo con papa Francesco, è un “santo sociale”: «Nel senso che le sue prediche erano così forti da essere ritenute rivoluzionarie. Egli ricordava ai vescovi e ai sacerdoti che la forza della predicazione consiste prima di tutto nell’esempio di una vita integra, ma anche nella capacità di stigmatizzare le ingiustizie sociali, le piaghe del proprio tempo, il vizio, il disinteresse rispetto ai poveri».

Parole capaci di cambiare la realtà, di modificare le leggi, di smuovere le situazioni difficili. Dunque nell’uomo nato a Lisbona, morto a Padova e tanto venerato a Rieti si può riconoscere un «missionario in uscita, un predicatore sapiente, un santo sociale, un modello attualissimo per la nostra Chiesa. I santi – ha concluso il cardinale Baldisseri – non ci sono dati soltanto per essere venerati, ma soprattutto per essere imitati. Il suo esempio plasmi la nostra vita, ci aiuti a superare le nostre pigrizie, vinca i nostri timori e ci renda evangelizzatori credibili della nostra società».

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Foto di Massimo Renzi.