«Il buon manager si dà una regola». E niente di meno quella di San Benedetto

Chi potrebbe immaginare che nella nostra avanzatissima modernità, nel tripudio di tecnologie informatiche roboanti, nel carosello di strumenti di comunicazione qualcuno (folle?), ma più di qualcuno, parla di un reale rapporto tra azienda e niente meno che la Regola Benedettina?

In apparenza niente di più distante: da una parte l’abbazia monastica il cui scopo, dice San Benedetto, è «piacere soltanto a Dio», dall’altra l’azienda che nasce e si sviluppa con l’obiettivo di generare ricchezza. Ma cominciano ad essere parecchi nel nostro paese a pensare che possa esserci più di un punto di contatto.

Centralità della persona da valorizzare nelle sue potenzialità; ascolto e gestione utile di ciò che l’ascolto ha prodotto. Lo dice,fra gli altri, Massimo Folador, amministratore di Askesis (www.askesis.eu) società di consulenza, formazione al fianco di alcune realtà imprenditoriali. Ne parla in un interessante libro “Il lavoro e la Regola. La spiritualità benedettina alle radici dell’organizzazione perfetta”.

Richiama San Benedetto, secondo il quale il dialogo capace di condurre ad un confronto e a unazione e condivisa è uno degli obiettivi cardine perché la comunità cresca e progredisca. La condivisione non è una chimera, ma una realtà da coltivare con cura. Anche nell’azienda è importante che cresca questa sensibilità; l’alterità vissuta come dono può essere parte dell’arricchimento personale e della comunità.

La valorizzazione delle risorse umane è più che mai necessaria oggi ed è una delle operazioni più delicate da parte di chi dirige un’azienda verso obiettivi che coinvolgano tutti, dove i risultati economici e il gusto di lavorare coincidono e dove lavorare bene significa raggiungere traguardi utili per la propria azienda e per sé.

L’autore sottolinea poi che, come si legge nel II capitolo della Regola, l’accoglimento dell’altrui diversità è fonte di ricchezza e confronto in un percorso che parte da ogni singolo individuo, ma che si muove verso la comunità che quell’individuo può far crescere e valorizzare; una relazione utile al gruppo per sviluppare al proprio interno concordia e unità ma soprattutto alle persone per l’arricchimento sicuro che il gruppo è in grado di generare sui singoli componenti.

Ma in un’azienda che voglia risultati positivi è fondamentale non solo l’atteggiamento del singolo o della comunità nel suo insieme, ma anche l’attività quotidiana di chi conduce un gruppo verso la meta. Un’azienda deve fare delle idee e della propositività dei singoli il suo punto si forza.

Come l’abate, conclude Folador, così il leader aziendale deve saper conciliare competenze tecniche e abilità di relazione. L’eccellenza professionale non basta.