Sinodo per l'Amazzonia

I volti degli indigeni sono i veri protagonisti del Sinodo

"Voci dell'Amazzonia: terra, popoli e religioni", il convegno che si è svolto all'Università Antonianum di Roma con testimonianze di rappresentanti delle popolazioni indigene, dei governi locali e della Chiesa sinodale per accompagnare un nuovo cammino: dall'Amazzonia verso un orizzonte di fraternità umana universale

Il Sinodo sull’Amazzonia comincia domani, domenica 6 ottobre. Vescovi di tutto il mondo si incontreranno in Vaticano fino al 27 di questo mese per “ascoltare la voce dell’Amazzonia e rispondere da Chiesa profetica e Samaritana”, come si legge nell’Instrumentum Laboris pubblicato lo scorso 17 giugno. E oggi, alla vigilia di questo grande evento per il futuro del pianeta, le voci di rappresentanti delle popolazioni indigene, dei governi locali e dei rappresentanti della chiesa sinodale, hannno dato testimonianza dell’impegno di voler ripartire proprio dall’Amazzonia verso un orizzonte di fraternità umana universale. L’occasione è stata data dal convegno “Voci dall’Amazzonia: terra, popoli e religioni”, promosso dalla Pontificia Università Antonianum (PUA), l’Ufficio generale di Giustizia, Pace e Integrità del Creato (OFM – JPIC), il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (MCMC) e la Red Eclesial Panamazonica (REPAM).

Come il Rio delle Amazzoni, dice nel suo intervento Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo, partendo dalle Ande “sfocia nell’Oceano Atlantico raccogliendo tutti gli affluenti piccoli e grandi, così il Sinodo sfocia nell’oceano dell’umanità il cui orizzonte è il regno di Dio”. Sono parole che marcano il ritmo e il senso degli interventi successivi.

Non si può parlare di Amazzonia senza conoscerne i popoli che la abitano e la loro cultura, così come non si può spezzare il legame tra natura e cultura. Un binomio inscindibile per Julio Eduardo Martinetti Macedo, Ambasciatore del Perù in Italia. “Un problema fondamentale dell’Amazzonia è che gli indigeni hanno vissuto per molto tempo reclusi nella foresta senza contatti con l’esterno – spiega il diplomatico –  rimanendo invisibili al resto del mondo. C’era solo una vaga idea di chi fossero e di come vivessero realmente. Oggi – prosegue Macedo –  sappiamo che ci sono tanti problemi da risolvere ma dobbiamo essere concreti. I grandi postulati e le grandi teorie non aiutano a risolvere i problemi quotidiani. Abbiamo bisogno di pianificare meglio ma soprattutto abbiamo bisogno di una visione interculturale e territoriale”.

I grandi progetti e i grandi programmi nazionali, evidenzia ancora l’ambasciatore, “non si possono applicare in Amazzonia perchè non sono fatti per l’Amazzonia. E’ necessario capire che questi territori e questi popoli devono trovare delle soluzioni ai propri problemi che si armonizzino con le grandi strategie nazionali. I popoli indigeni si trovano in una fase transitoria e le istituzioni devono essere più efficienti nel rispondere alle loro necessità”.

Capire prima di tutto la necessità di camminare insieme individuando i problemi più urgenti, sembra dunque essere il primo passo da affrontare.  “Io sono ottimista – conclude Macedo – e credo che il Sinodo darà grandi contributi in questo senso. La visone ancestrale che unisce la natura alla cultura è ciò che ha permesso per molti secoli di prendersi cura dell’Amazzonia. Ma quando la cultura occidentale è arrivata separando queste due dimensioni, ecco che si sono presentati i problemi”.

Determinazione e consapevolezza degli indigeni

Dietro le quinte, in un momento di pausa del convegno, ci aspetta Rosana del popolo indigeno dei Puruborà considerato estinto per decenni. Abita la Regione della Rondonia, uno Stato del Brasile nord-occidentale al confine con la Bolivia. Di Rosana colpisce la lucida consapevolezza della sua dignità e di quella della sua gente, della sua storia e dei suoi valori, della necessità di salvare il pianeta: la sua, o meglio, la nostra madre terra. Ci trasmette questo impegno con parole tanto semplici quanto efficaci: “Mi aspetto che questo Sinodo sull’Amazzonia tocchi il cuore delle persone che non rispettano i nostri diritti, in modo tale che possano cambiare il loro modo di fare. Nella nostra regione – spiega – il problema più grave è lo sfruttamento minerario illegale. Noi cercheremo ancora di mantenere con forza e determinazione la nostra posizione cercando il sostegno e l’appoggio delle istituzioni per far valere i nostri diritti. Le nostre opinioni – conclude Rosana – non sono ascoltate così come anche le nostre decisioni. Vogliamo rispetto”.