I sindaci, la dittatura dei numeri e il gioco al massacro

Gli “stati generali” dei Comuni italiani disagiati, riuniti ad Amatrice lo scorso 11 ottobre, forse non hanno avuto la risonanza che avrebbero meritato. Non tanto (o almeno non solo) per la dimensione nazionale dell’iniziativa, né per l’esito associativo e le rivendicazioni strutturate che ne dovrebbero conseguire. Più interessante è stata la forza delle ragioni rappresentate e la non trascurabile capacità di analisi che gli amministratori hanno saputo mettere sul piatto.

Nei loro necessariamente brevi interventi, i sindaci dei Comuni “marginali” hanno saputo evidenziare un’inaccettabile disparità di trattamento da parte dello Stato rispetto alle grandi aree urbane. E hanno posto un accento documentato sugli ingiustificabili privilegi della politica, su sprechi nel comparto sanitario che offendono chi si vede sottrarre servizi, sulle disfunzioni dei meccanismi di governo regionali e nazionali, sugli ostacoli che le amministrazioni comunali incontrano nelle forme del “patto di stabilità”, del “blocco delle assunzioni” e della continua sottrazione di risorse.

Si potrebbe dire che in questo non c’è nulla di nuovo. Che lo Stato sia sprecone ed inefficiente è noto da un pezzo. Basta guardare all’alluvione di Genova di questi giorni per rendersi conto di quanto male funzioni l’Apparato. È tutto vero, ma la novità dell’inedito G30 di Amatrice è un’altra: nell’avvicinarsi dei Comuni, nel mettersi l’uno in ascolto dell’altro, emerge la possibilità di ricucire le parti, di cogliere in disagi apparentemente frammentati un unico disegno. E potrebbero prendere corpo e forza domande da tempo sottaciute o malposte.

L’azione stracciona e inconcludente dello Stato e dei governi nell’affrontare i problemi, la corruzione e gli sprechi, è semplice incapacità? La continua erosione dei diritti dei cittadini nei campi della Salute, del Lavoro e dello Stato Sociale è una condizione obbligata, una sorta di inevitabile destino? Non sarà che certe scelte palesemente irrazionali, certi gratuiti attacchi ai servizi pubblici, ai beni comuni, alla protezione sociale, non sono il frutto di errori di valutazione politica, ma la conseguenza di interessi determinati?

Sono problemi complessi e non è detto che le risposte siano scontate, al contrario. Ma proprio per questo è significativo veder partire dal basso, in qualche caso dai margini, un tentativo di elaborazione comune, di riflessione collettiva, di presa di coscienza. La cosa migliore della manifestazione svolta ad Amatrice è sembrata una certa voglia di esercitare l’immaginazione politica e morale, il desiderio di discutere dei fini più che dei mezzi.

Da tempo si ha l’impressione che le risorse intellettuali, la capacità di leggere la realtà e il dibattito pubblico siano occupate da questioni, soluzioni e finalità stabilite a priori, già date e mai discusse. Che si tratti di debito pubblico, di spending review, di mercato del lavoro, di servizi pubblici, i discorsi sembrano sempre inchiodati alla condizione della necessità e dell’inevitabilità. Ne risulta una mancanza di visione, o una visione troppo schiacciata sul presente, che produce inevitabilmente soluzioni di scarso respiro.

Ma nei sindaci dei Comuni italiani più svantaggiati si è cominciato a intravvedere un sospetto verso le versioni ufficiali: l’idea che dietro alla chiusura dei presidi, degli ospedali, delle scuole, dei servizi nelle aree più isolate e disagiate si nasconda una falsa necessità, che è necessario smascherare per senso di giustizia, per non cedere ad una sorta di ipocrisia amministrativa.

Il che non significa negare la crisi. Nessuno tra i sindaci riuniti l’11 ottobre ha negato la realtà dei problemi, e tutti sanno che per uscire da questa oggettiva fase di difficoltà occorrono sacrifici. Ma – insieme ai loro concittadini – non sembrano disposti ad affrontarli senza aver prima chiarito eventuali errori e responsabilità, e soprattutto senza aver ben chiari gli scopi di ogni sforzo.

Sono piccoli segnali, è vero, ma dicono qualcosa dell’aria che tira. E forse è anche per cogliere queste istanze che Papa Francesco insiste nell’invitarci a posare lo sguardo sulle periferie.

Il “gioco al massacro” al quale siamo stati abituati dalla dittatura dei numeri richiede un cambiamento. E in fondo non ci sarebbe nulla di strano se una strategia alternativa arrivasse proprio dalle aree fisiche ed esistenziali in cui questa incide con maggiore ferocia.

One thought on “I sindaci, la dittatura dei numeri e il gioco al massacro”

  1. Valerio Bobini

    Bellissima e veritiera analisi. Dietro ai tagli di servizi e all’ impoverimento delle Aree disagiate in favore di aree Socioeconomiche più sviluppate e privilegiate c’ è un disegno ben preciso che non si spiega….o forse si, con la crisi. Una crisi che non hanno voluto i cittadini e che, politici senza coraggio e senza porsi la mano sulla coscienza continuano ad attuare in favore dei forti e a totale danno dei deboli ed è questo il segnale di Amatrice. I Sindaci e la popolazione presente oltre ai comitati hanno capito che è l’ ora di riappropriarsi democraticamente, ma con determinazione, di quei diritti troppo spesso calpeatati, in favore di conti ragionieristici pilotati solo verso i più deboli che ora sono pronti a lottare perchè stufi di asssistere inermi a questo gioco al massacro. Valerio Bobini rappresentante del Crest (Comitato Regionale Emergenza Sanità Toscana)

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