I settimanali diocesani per un giorno nelle mani dei parlamentari

Il presidente nazionale della Fisc Francesco Zanotti: “Ne abbiamo portato un pacco e li abbiamo messi sui tavoli. Hanno potuto constatare che si tratta di giornali ‘veri’. Questo ha prodotto in loro un attento ascolto verso le nostre posizioni e, mi è parso, anche il desiderio di confrontarsi”. Spiegate le ragioni di democrazia e pluralismo che giustificano il rispristino del Fondo per l’editoria.

“Ai parlamentari della Settima Commissione Cultura della Camera abbiamo presentato i giornali diocesani che prendono i contributi per l’editoria. Ne abbiamo portato un pacco e li abbiamo messi sui tavoli. Hanno potuto constatare che si tratta di giornali ‘veri’. Questo ha prodotto in loro un attento ascolto verso le nostre posizioni e, mi è parso, anche il desiderio di confrontarsi”: così Francesco Zanotti, presidente nazionale della Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) ha sintetizzato al Sir l’esito della audizione parlamentare di questa mattina (8 ottobre), cui ha partecipato insieme alla vice-presidente Chiara Genisio. La Commissione sta esaminando la proposta di legge n. 1990 per “l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria”, fatto che – sottolinea Zanotti – “sarebbe un colpo mortale per numerosi settimanali diocesani così come per tante altre testate giornalistiche di altra ispirazione”. Ai lavori della Commissione, che ha ascoltato anche le voci di Fieg, Fnsi, di cooperative di giornalisti e di associazioni di testate on-line, ha partecipato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti. Presiedeva i lavori Flavia Nardelli, già segretaria generale dell’Istituto Luigi Sturzo e oggi deputata Pd. “Mi sembra che, a questo punto, o in Parlamento prendono coscienza che i giornali locali, come i nostri, sono un valore, oppure è andata. Ormai non è più soltanto questione di dire: mettono il bavaglio alla stampa libera nei territori. Qui si rischia che queste voci muoiano”.

Quali fondi arrivano alla stampa diocesana.

Dietro il dibattito parlamentare sulla proposta di legge n. 1990, partita dai “grillini”, ci sono spinte diverse e purtroppo convergenti, verso tagli sempre più feroci dei fondi per l’editoria, fino al loro potenziale e temutissimo azzeramento. Oltre alla concezione diffusa nell’opinione pubblica che il mondo della carta stampata sia una “casta”, come quella della politica e della magistratura, c’è l’impegno del governo di rimanere (o meglio “rientrare”) nei parametri europei. Da questo le strette di bilancio che stanno colpendo inesorabilmente molti settori della spesa, compresa l’editoria la quale, in realtà, rappresenta ben “poca cosa” rispetto ad altre voci di spesa. Complessivamente i fondi disponibili sono scesi a una settantina di milioni di euro, cioè una briciola nel bilancio pubblico. Ma il presidente della Fisc ha voluto precisare che ai giornali diocesani erano assegnati, rispetto alla settantina di milioni di fondi pubblici citati, solo tre anni fa 3,9 milioni. Lo scorso dicembre il contributo era già sceso a 1,8 milioni e quest’anno, dovrebbe calare ulteriormente a 1,2 milioni. Vale a dire un taglio secco di oltre il 70%. “In pratica – spiega Zanotti – per ciascuno dei 70 giornali diocesani aventi diritto, si scenderebbe a un contributo medio pro-capite attorno ai 15-20 mila euro. Con tale cifra, si capisce bene, non si può neanche pagare una segretaria con la sua postazione di lavoro. Altro che assicurare la ‘libertà di stampa’!”.

Perché “no” ai tagli.

Un secondo fattore di grande preoccupazione espresso dal presidente della Fisc in Commissione riguarda l’impostazione dei tagli cosiddetti “lineari”. “Essa si è rivelata un errore perché ha colpito in maniera troppo pesante rispetto ad altri ambiti – dice Zanotti -: nessun altro settore ha avuto decurtazioni come l’editoria fino all’80-90%! Ma soprattutto si è andati a colpire voci piccole e libere, rappresentative di territori spesso dimenticati dai circuiti informativi e dalla grande stampa”. “Le nostre testate diocesane, diverse delle quali hanno più di un secolo di vita – aggiunge – spesso sono l’unica testata di un singolo territorio. Chiuderla vorrebbe dire azzerare le possibilità che in quell’area ci sia uno strumento di dibattito e confronto. Un intero territorio verrebbe condannato a scomparire dalle cronache”. Perciò, andando in direzione contraria rispetto all’ipotesi di tagliare tutto, Zanotti ha invece affermato che “sarebbe auspicabile che queste testate ottenessero, nelle Leggi dello Stato, il riconoscimento di una propria identità, magari come ‘Periodici locali di informazione’, in quanto giornali d’informazione generale, diffusi in un determinato territorio”.

Ripristinare gli aiuti, non abolirli.

Quali decisioni assumerà il “Palazzo”, al momento non è dato di sapere. “La nostra non è una battaglia solo per la stampa diocesana – precisa il presidente Fisc – ma accanto ai nostri ‘cugini’, quali ‘Avvenire’, ‘Famiglia Cristiana’ ed altre testate di area cattolica, ma anche assieme a tante testate laiche, che vivono le stesse problematiche”. Zanotti sottolinea come i contributi all’editoria siano sorti “per incoraggiare la democrazia informativa e per mettere un puntello a un mercato pubblicitario sbilanciato verso i maggiori network. Chiudere giornali significa togliere spazio ed espressione a gran parte della gente che in quei giornali si ritrova e si riconosce. Significa impoverire il dibattito culturale, significa anche tagliare le radici storiche e umane a molta parte del territorio italiano”. La proposta conclusiva che ha avanzato è di ripristinare il fondo per l’editoria ad almeno 90-100 milioni. “Il mercato da solo non è in grado di regolare l’informazione”, ha detto, “occorre che la politica comprenda il grande servizio di civiltà e democrazia che la stampa svolge al servizio del bene comune”.