Giugno Antoniano Reatino

I portatori di sant’Antonio come metafora della Chiesa

La "Messa del Portatore" è stato un momento per leggere il Giugno Antoniano non come semplice devozione, ma come occasione per recuperare elementi di ecclesialità e avvicinarsi all'infinita tenerezza con la quale Dio ci custodisce

Le figure dei portatori come metafora della Chiesa: è stata questa l’intuizione che don Paolo Blasetti ha offerto a quanti, nella serata di sabato 20 giugno, si sono ritrovati nella basilica di Sant’Agostino per partecipare al momento di preghiera che i confratelli della Pia Unione ogni anno si riservano di vivere insieme l’attesa della grande Processione dei Ceri. In questa speciale edizione del Giugno Antoniano, però, alla Messa non ha fatto seguito il consueto momento conviviale. Né i portatori sono attesi dall’ambita fatica di portare il santo e la sua macchina per le vie del centro storico di Rieti. Tra le conseguenze della pandemia, come è noto, si conta anche la sospensione delle processioni religiose.

Ma il coronavirus non impedisce di cogliere comunque il senso profondo della manifestazione, il significato dei suoi segni. Portare la macchina di sant’Antonio, ad esempio, allude al portare il peso della santità. Al quale rimanda anche il saio dei confratelli, che «non è l’abito della povertà», ma il modo scelto da san Francesco per avere sempre indosso ciò che più gli stava a cuore: la croce di Cristo. Aprendo l’abito – ha notato don Paolo – si ricava il Tau. Indossare il saio, è assumere su di sé la croce e con essa il peso della santità, che ben altro dalle «pratiche di pietà con le quali pensiamo di poter strappare a Dio chissà che cosa». La santità è «un peso leggero», perché «la croce di Cristo non è il dolore della sofferenza, è quell’amore attraverso il quale Dio ha liberato l’umanità».

Ma non basta. Di può portare il peso della santità, indossare il saio e caricare su di sé la macchina del santo a immagine della croce di Cristo, solo se ci sono delle squadre per farlo. «Nessuno può “incollare” da solo ad Antonio», né «si diventa santi ognuno per conto proprio», attraverso le proprie «devozioncelle». Si diviene santi soltanto se si appartiene alla Chiesa, «se si vive l’esperienza ecclesiale maniera unita». La metafora è immediata: «se i importatori sotto la statua si mettessero ognuno a decidere di fare come gli pare, succederebbe un pastrocchio, fino al crollo della statua stessa e di tutta la macchina appresso con lei».

Emerge allora una terza dimensione: perché la squadra funzioni c’è bisogno di una guida, del capomacchina che crea l’ordine e l’equilibrio necessari perché tutto possa funzionare e il cammino possa essere compiuto. E nella Chiesa, ha avvertito don Paolo, il capomacchina é Gesù. I preti, i papi, i vescovi «non sono le guide del popolo, sono i custodi del popolo a servizio del popolo stesso, e insieme al popolo si rimettono continuamente davanti all’unico maestro, come ha fatto Antonio per tutta la sua vita».

L’invito del sacerdote è stato dunque a non ridurre l’occasione del Giugno Antoniano a una semplice devozione, perché «questa festa ci permette di recuperare degli elementi di ecclesialità che sono fondamentali per camminare come ha fatto Antonio in santità di vita, per raggiungere la pienezza a partire dalla consapevolezza dell’infinita tenerezza con la quale Dio ci custodisce».