I padri ”dispenser”…

…ma di amore, non di beni materiali. Andreoli: «L’affetto è la base della sicurezza».

“Non è sempre facile oggi parlare di paternità”, soprattutto nel mondo occidentale. A lanciare la provocazione è stato Benedetto XVI, nella catechesi dell’udienza generale, dedicata al tema della “paternità” di Dio. Maria Michela Nicolais, per il Sir, ne ha parlato con lo psichiatra Vittorino Andreoli.

Si può definire la nostra una “società senza padri”?

“Limitandomi alla realtà italiana, che è quella di cui mi occupo, posso dire che la crisi della figura del padre risale ormai ad alcuni decenni, ma si è fortemente acuita negli ultimissimi anni, tanto da indurci a parlare di padre assente: un padre, cioè, che esiste, ma dal punto di vista educativo, affettivo, è come se non ci fosse. Certo si tratta di un’affermazione generale, che vede alcune differenze, però è fuor di dubbio che il padre, oggi, è un padre che non c’è, o che comunque sembra aver assunto soltanto un ruolo di erogatore di beni, di colui che fornisce ‘ben-essere’ inteso solo in senso materiale. Si tratta di una visione patologica, non solo limitata, perché la funzione del padre è una funzione affettiva: il padre deve erogare prima di tutto amore, perché l’amore è un legame affettivo che dà sicurezza, e la sicurezza non deriva solo dal denaro”.

Impegni di lavoro sempre più pressanti, preoccupazioni come quella – molto attuale in tempi di crisi – di far quadrare il bilancio familiare, “invasione” dei mass media nelle case: questi i fattori che per Benedetto XVI impediscono un “sereno e costruttivo” rapporto tra padri e figli. In che modo l’agenda quotidiana condiziona tale rapporto?

“Il Papa fa un’analisi dell’ambito familiare, e mette l’accento sulla crisi della paternità perché ritiene che il fenomeno si stia aggravando. Nel momento in cui, infatti, c’è una crisi economica, il padre non riesce più a fornire in termini di beni tutto ciò che erogava prima, e così si sente in qualche modo ‘meno padre’. È vero, inoltre, che i padri per lavoro sono spesso fuori casa, ma perché in casa si sentono in imbarazzo: le riunioni alle sette di sera sono salvifiche, perché lì trovano amici importanti, mentre andare a casa fa più problema perché ci si sente dei falliti. Una volta a casa, poi, magari è lui che accende la tv, che diventa una barriera, una difesa dall’attivazione degli affetti, che altrimenti sarebbero manchevoli. È la famiglia, così, che non funziona, e ciò è dovuto al fatto che non la si ritiene il luogo della circolarità degli affetti. Come scrive il Papa nella ‘Deus caritas est’, l’amore è darsi, non dare oggetti, ma dare se stessi. Un padre, a volte, preferisce dare dieci euro piuttosto che un bacio”.

Prima conseguenza, la difficoltà della comunicazione intergenerazionale: i “nuovi padri” sono diversi, e in che cosa, da quelli di ieri?

“Indubbiamente oggi non domina più la continuità, ma la rottura tra le generazioni, con dei vuoti spaventosi che generano insicurezza. La prima conseguenza è che le generazioni oggi sono veramente distanti tra di loro: è difficile che i padri condividano la stessa visione del mondo dei figli. Qual è, però, il legame che non deve mai rompersi? L’affetto. Di fronte a un figlio che si comporta in modo inaccettabile, il padre deve dire ‘non l’accetto, non posso condividerlo, va contro i miei principi’. Ma subito dopo deve aggiungere: ‘Ricordati che qui ci sono sempre un padre e una madre che ti vogliono bene’. Si può essere inflessibili sui principi, ma occorre sempre mostrare una grande flessibilità negli affetti. In un mondo così accelerato come quello in cui viviamo, è fisiologico che ci sia una frattura o una divisione tra le generazioni, sul modo di vedere il mondo. Quello che non si deve rompere sono appunto i legami affettivi, fatti della donazione di sé, della capacità di esserci, di aiutare”.

Oggi emerge sempre più il tema della conflittualità dei ruoli, materno e paterno, nelle famiglie disgregate o in difficoltà.

“A mio avviso, anche la crisi generale della famiglia è una crisi che si fonda sulla non affettività. Se nella coppia manca l’affetto, se c’è conflitto, sospetto, stanchezza, è molto difficile fare sia il padre sia la madre, perché gli affetti si sostengono vicendevolmente: il padre non può fare anche la madre, e la madre non può fare anche il padre. Se però tra i due c’è la rottura, non c’è la cooperazione nell’affettività. Il problema, in altre parole, riguarda l’insieme, la sinfonia. È come ascoltare un quartetto di Mozart: bisogna non soltanto che ciascuno sappia suonare il suo strumento, ma anche che i solisti siano in armonia tra di loro, altrimenti il risultato è una musica inascoltabile”.

A farne le spese sono prima di tutto i bambini, contesi o addirittura “strappati” con la forza di fronte alla propria scuola, come è accaduto di recente a Padova…

“Quando guarda il padre e la madre, il figlio non riesce a vedere l’uno distaccato dall’altra: se gli adulti ammettono la separazione, i figli non l’ammetterebbero mai. Se un adolescente separa il padre dalla madre, quando non ottiene una cosa da uno va dall’altra, strumentalizzando così il conflitto. È una questione di credibilità degli affetti: come fa un figlio a sentire che un papà gli vuole bene, quando si accorge che il padre non vuole bene a sua madre, alla quale invece lui vuole bene?”.

Cosa direbbe a un giovane che non ha un buon rapporto con suo padre?

“Spesso i giovani giudicano i padri e le madri. A un giovane direi: ‘Ma ti sei mai posto la domanda del perché tuo padre, così come lo vedi, non ti soddisfi? Stasera, magari, quando rientra a casa, chiedigli semplicemente come sta’”.