Italia

I “forchettoni” lasciati sui freni della funivia: «Qualcuno poteva dire no»

Il Gip libera due indagati, ai domiciliari solo il caposervizio Tadini: «Non c'è prova che il gestore e il direttore di esercizio fossero al corrente». In arrivo nuovi accertamenti

Il giudice smonta l’inchiesta della procura di Verbania sulla tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita, il 23 maggio, a 14 persone: non convalida i fermi, rimette in libertà due indagati su tre, si dissocia da una buona parte delle prime conclusioni dei pubblici ministeri.

Agli arresti domiciliari resta solo Gabriele Tadini, il dipendente con mansioni di caposervizio: era stato lui che, con una “condotta scellerata – si legge nell’ordinanza di custodia – in totale spregio della vita umana”, aveva deciso di lasciare inseriti i ceppi che bloccavano i freni di emergenza; e fu lui, una volta, secondo la testimonianza di un collega, a dire “prima che si rompa una traente (un cavo – ndr) ce ne vuole”. Ma non c’è prova che il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio, liberati entrambi, fossero d’accordo.

“Sul piano investigativo non la vivo come una sconfitta, siamo solo all’inizio”, dichiara il procuratore Olimpia Bossi annunciando nuovi accertamenti tecnici e una serie di conseguenti avvisi di garanzia.

Il gip Donatella Banci Buonamici non ha accolto una serie di osservazioni dei pm. A cominciare dal timore del pericolo di fuga dei tre indagati, giudicato inesistente anche perché non basta che ci sia del “clamore mediatico” per dimostrare che qualcuno di loro volesse scappare.

Poi “non convince” l’idea che i vertici dell’azienda di gestione non volessero fermare l’impianto, da poco riaperto, per ragioni economiche: “La stagione turistica – scrive il giudice – non è ancora iniziata” e almeno fino a giugno, con l’allentamento delle restrizioni anti Covid e la chiusura delle scuole, non sono prevedibili i grandi afflussi degli anni passati. Il giudice, infine, si spinge fino a vibrare una stoccata in merito al caso di un testimone – un addetto della funivia – che a suo dire “non avrebbe mai dovuto essere interrogato come persona informata sui fatti”, cioè come teste, bensì come indagato.

Ora sarà necessario capire per quale motivo, il 23 maggio, poco dopo le 12.00, si è spezzato un cavo, cosa che ha provocato la “folle corsa” verso valle della cabina 3, priva del freno di emergenza, e lo schianto al suolo. “Quando avremo un quadro chiaro delle società e delle persone da coinvolgere negli accertamenti tecnici manderemo degli avvisi”, spiega il procuratore Bossi.

Ma è sui “forchettoni”, o i “ceppi” secondo il gergo degli operai della funivia, che il gip ritiene che l’ultima parola, nella caccia ai responsabili, non sia stata ancora detta. Si tratta di dispositivi che impediscono al sistema frenante della cabina di scattare in caso di necessità. Quando l’impianto è in funzione, devono essere rimossi. Eppure il 23 maggio c’erano.

“Sono allibito”, ha affermato un addetto quando i carabinieri gli hanno mostrato la fotografia. Secondo le indagini era il caposervizio Tadini a ordinare di mettere o togliere i forchettoni (quando non lo faceva di persona), ma il gip afferma che almeno qualcuno di loro “poteva benissimo rifiutare”. Ora sarà la procura di Verbania a decidere se allargare la platea degli indagati.

Tadini ha detto che dall’8 maggio lasciò inseriti i ceppi in varie occasioni “una decina di volte”. La cabina 3 aveva un problema alla centralina idraulica dei freni, si fermava a singhiozzo e nemmeno i manutentori della Rvs di Torino (al lavoro in subappalto per conto dell’altoatesina Leitner) erano riusciti a venirne a capo. Da qui la decisione di lasciarli al loro posto. Tadini sostiene che “lo sapevano tutti” e, in particolare, il gestore Nerini e il direttore Perocchio, ma i due hanno negato e per il gip le testimonianze dei dipendenti accreditano la loro versione.

Solo il verbale di un lavoratore, uno dei manovratori in servizio il giorno della tragedia, sembra confortare il racconto di Tadini. Ma il giudice non è convinto della genuinità del suo racconto. L’uomo – ha spiegato un collega – avrebbe dovuto togliere il forchettone, con l’autorizzazione di Tadini, prima di effettuare la corsa di prova. Non lo fece, e secondo il gip, quando fu interrogato, “sapeva bene del rischio di essere lui stesso incriminato per avere concorso a causare con la propria condotta, che poteva benissimo rifiutare, la morte d 14 turisti”.

da avvenire.it