Gugerotti: “i bambini credono al miracolo della pace in Ucraina”

Il Papa ha nella sua stanza un’immagine di san Giuseppe che dorme, sotto cui mette le intenzioni di preghiere che gli arrivano da tutto il mondo. Tra queste c’è anche un biglietto con le preghiere dei bambini ucraini che gli hanno chiesto di far cessare la guerra. Lo racconta al Sir monsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, che a Roma per un convegno della Congregazione per le Chiese orientali, ha incontrato papa Francesco. Il Papa ha messo l’intenzione sotto san Giuseppe che dorme perché, ha detto, “continuamente possa rivolgere a Dio le preghiere per loro anche quando io dormo”

Diciotto milioni di euro raccolti sia tramite la colletta per l’Ucraina lanciata da papa Francesco lo scorso anno sia con un’aggiunta personale del Santo Padre di 5 milioni di euro. È la prima volta che la Chiesa cattolica destina una simile somma per un’emergenza. “Il Papa sa che l’aiuto umanitario è fondamentale perché consente alle persone di sopravvivere. La carità è la miglior diplomazia”. Parla monsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Ucraina, a Roma nei giorni scorsi per partecipare a un convegno promosso dalla Congregazione per le Chiese orientali. Il nunzio va spesso nella cosiddetta zona grigia che comprende essenzialmente i due distretti di Donetsk e Lugansk, teatro di una guerra di cui nessuno parla “né in Italia, né da nessun altra parte del mondo”. Quasi la metà dei 18 milioni stanziati sono già stati utilizzati per l’acquisto di medicine e cibo e per la ricostruzione di edifici. Una parte è stata devoluta per la riabilitazione psicologica dei bambini. C’è un comitato locale che gestisce la ripartizione degli aiuti. È legato alla nunziatura e presieduto dal vescovo Jan Sobilo, ausiliare di Kharkiv-Zaporizhia. “Il Papa – spiega Gugerotti – vuole un’azione diretta, mirata ai più bisognosi e senza distinzione di fede religiosa e nazionalità”.

Lei va spesso nel Donbass. Com’è la situazione? Che cosa ha visto?
Miseria. Spopolamento. Anziani soli. Case distrutte. I bombardamenti continuano, si spara senza sosta.

È aumentato il costo dell’elettricità. È in atto un blocco delle merci. Le assicuro che la situazione è ancora più drammatica della povertà. Gli anziani faticano a ricevere la pensione ucraina. Ci sono problemi di riscaldamento e, soprattutto, di accesso ai farmaci e alle cure sanitarie. Ora c’è anche il problema dei vaccini per i bambini. Tutti i ponti sono saltati e per raggiungere Lugansk bisogna fare un giro lunghissimo oppure passare per la Russia. Una situazione pesante.

Che cosa le dicono le persone che incontra?
Mi dicono di chiedere al Papa di far cessare la guerra.

Questa è la loro richiesta, di pregare e chiedere al Papa di far cessare la guerra. A chiederlo sono soprattutto i bambini. Questi bimbi saranno segnati a vita da quello che hanno visto e stanno tuttora vivendo. Hanno già sulle loro piccole spalle tre anni di bombardamenti continui e una vita da sfollati, nella minaccia continua della guerra. È un’esperienza terribile.

Far cessare la guerra, ma come?
I bambini credono nei miracoli. È la ragione per cui i bambini saranno i primi nel Regno dei Cieli, perché credono nei miracoli, credono all’amore di Dio. E i miracoli si realizzano con gesti di amore, con la preghiera, con piccole riconciliazioni. Loro credono che se un uomo santo come il Papa pregherà, Dio lo ascolterà. Loro non ci chiedono il come, né tantomeno sono esperti di diplomazia. Loro credono all’impossibile.

E il Papa cosa dice?
Il Papa ha nella sua stanza un’immagine di san Giuseppe che dorme, sotto cui mette tutte le intenzioni di preghiere che gli arrivano da tutto il mondo. Mi ha detto:

“Metterò il biglietto con le preghiere dei bambini sotto san Giuseppe che dorme perché continuamente possa rivolgere a Dio le preghiere per loro anche quando io dormo”.

Ma realisticamente a livello diplomatico, quali sarebbero le condizioni per una pace possibile?
Che le parti in causa si parlino. E le parti in causa non sono solo Russia e Ucraina, sebbene siano gli interlocutori primari. Ci sono zone d’influenza che risalgono a interessi più ampi. Bisogna quindi che tutte le parti coinvolte e tutte le grandi potenze accettino di incontrare l’altro attorno allo stesso tavolo e abbiano una parola di pace. Ma se poi quando ci si incontra – come è successo a Minsk – non si applica quello che viene deciso, allora si sprecano tempo e occasioni. Occorre che ci sia fedeltà alla parola data. E infine chiederei anche una certa flessibilità umana. Significa che quando sono in gioco le vite umane, non si può decidere solo sulla logica del capitale o in base agli interessi delle potenze militari o ancora in nome dei nazionalismi. Ma accettare di parlarsi da persona a persona.

Un appello all’Europa?
Che si svegli e, se c’è, batta un colpo.