Coronavirus

Gli italiani e il Covid: il 43% ha pregato, c’è voglia di famiglia

Il Rapporto annuale dell'Istat: la pandemia ha acuito le disuguaglianze sociali. La paura potrebbe portare a una ulteriore diminuzione delle nascite

Il Rapporto annuale dell’Istat (VAI AL DOCUMENTO), pubblicato oggi, ha un capitolo dedicato all’impatto del Covid-19 e del lockdown. Ed è un ritratto a tutto tondo degli italiani: dalla famiglia alla vita sociale, dal lavoro all’aspettativa di vita. La pandemia ha accentuato le differenze sociali e colpito più pesantemente i più deboli. Ma l’Istat sottolinea anche come il Paese abbia reagito. “Il segno distintivo” nel lockdown è stato di “forte coesione”. L’Istituto invita a guardare alla criticità strutturali del Paese come “leve della ripresa”.Ecco alcuni dei punti principali del Rapporto 2020.

Più colpiti i più deboli: donne, giovani e meno istruiti

“L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili”, come “testimoniano i differenziali sociali riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19”. “L’incremento di mortalità ha penalizzato di più la popolazione meno istruita”. L’Istituto considera, infatti, il livello di formazione un buon indicatore di collocazione nello strato sociale.

Sul mercato del lavoro hanno risentito dell’emergenza donne e giovani, più presenti nel settore dei servizi, impattato dalle conseguenze del Covid. La chiusura della scuole, poi, può aver prodotto un aumento delle diseguaglianze tra i bambini in termini di ‘digital divide’ e di sovraffollamento abitativo. La didattica a distanza vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione.

Nel lockdown il 43% pregava almeno una volta la settimana

Durante la fase di lockdown in molti hanno pregato: il 42,8% della popolazione di 18 anni e più lo ha fatto almeno una volta a settimana (il 22,2% almeno una volta al giorno). Le donne lo hanno fatto più degli uomini (52,6% contro 32,3) almeno una volta a settimana e anche le persone anziane di 65 anni e più (60%). Viceversa una quota analoga pari al 48,3 per cento si è polarizzata in maniera del tutto opposta dichiarando, invece, di non avere mai pregato durante il lockdown. Quote più elevate di chi dichiara di non aver mai pregato durante il periodo di lockdown si registrano tra gli uomini (58,1%) e i giovani fino a 34 anni (64,5%).

Con la paura del virus calerebbe la natalità

“La rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazione nel periodo post-Covid”. Così l’Istat nel Rapporto annuale. “Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021″. E La prospettiva peggiora se si tiene conto dello choc sull’occupazione. I nati scenderebbero a circa 426mila nel bilancio finale del corrente anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021”.

Ma si desidera la famiglia con 2 figli

Una “bassa” fecondità, “in costante calo dal 2010”, ma un “diffuso” ed “ancora elevato” desiderio di maternità e paternità. Una “forte discrepanza” quella registrata dall’Istat nel Rapporto annuale 2020. Il modello ideale di famiglia contempla infatti due figli. È così per il 46% delle persone, il 21,9% ne indica tre o più. Sono “solo” 500 mila quanti tra i 18 e i 49 anni affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita. “Il numero di figli effettivo che le persone riescono ad avere – si legge nel Rapporto – non riflette il diffuso desiderio di maternità e paternità presente nel nostro Paese. Sono solo 500mila gli individui tra i 18 e i 49 anni che affermano di non avere la maternità/paternità nel proprio progetto di vita”.

Lavoro, orari “antisociali” diffusi tra le donne

“Tra le donne è alta, anche se non maggioritaria, la diffusione dei cosiddetti orari antisociali: serali, notturni, nel fine settimana, turni. Con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del lavoro e la conciliazione con la vita privata”. Così l’Istat nel Rapporto annuale. “Più di due milioni e mezzo di occupati, di cui 767mila donne, dichiarano infatti di lavorare di notte; quasi cinque milioni, di cui 2 milioni donne, prestano servizio la domenica; e oltre 3,8 milioni, 1 milione e 600mila donne, sono soggetti a turni”.

Scala sociale, è più probabile scendere che salire

La “classe” di origine influisce meno sulla collocazione sociale che si raggiunge all’età di 30 anni rispetto al passato ma pesa ancora in misura rilevante. Per l’ultima generazione (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose invece che salire è scesa. Il 26,6% dei figli rischia un ‘downgrading’ rispetto ai genitori. Una percentuale, praticamente più di 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. E anche più alta di quella in salita (24,9%). Cosa che non era mai accaduta prima.

da avvenire.it