Giugno antoniano: alle origini della devozione

Sant’Antonio da Padova, santo venerato e amato da centinaia di fedeli che si ritroverano l’ultima domenica di giugno per rendergli grazie, nacque a Lisbona nel 1195 dalla famiglia Martines e al momento di essere battezzato venne chiamato Fernando.

Fino all’età di quindici anni frequentò la scuola della cattedrale nella sua città natale e subito dopo entrò nel monastero di San Vincenzo de Fora a pochi chilometri da Lisbona. Sin dall’inizio degli studi la sua passione venne indirizzata verso le Sacre Scritture e i Padri della Chiesa. Successivamente approfondì la sua formazione culturale e religiosa nel monastero di Santa Croce in Coimbra. Dopo essere entrato in contatto con il movimento francescano, che andava diffondendosi proprio in quel periodo, in Antonio nacque il desiderio di entrate nell’ordine fondato da San Francesco e quindi avvicinò i frati appartenenti alla sua cerchia.

Dopo diverse peregrinazioni in Italia meridionale l’incontro avvenne ad Assisi nel 1221 da dove Antonio partì poi per dare il via alla sua predicazione che toccò l’Italia settentrionale e la Francia dove era stato preceduto dalla voce delle sua grandi doti di predicatore.

Dal 1227 al 1231 rimase nel nord Italia come predicatore e maestro di teologia. Morì a Padova il 13 giugno dello stesso anno e neanche un anno dopo Papa Gregorio IX lo elevò agli onori degli altari. La devozione dei reatini a Sant’Antonio da Padova, che proprio Papa Gregorio IX definì «Arca del Testamento» per la sua profonda conoscenza e la sua instancabile predicazione, risale all’anno della sua morte.

E sempre in questo periodo nasce anche la processione in suo onore e da allora ogni anno, i reatini rendono omaggio al loro amato Santo. Guerre, lotte civiche o carestie non hanno quasi mai fermato la solenne processione considerata un appuntamento inderogabile e la cui preparazione richiede mesi di impegno da parte dei Fratelli della Pia Unione.

A seguire la statua di Sant’Antonio lungo il percorso cittadino un mare di fedeli, molti dei quali porteranno tra le braccia un cero, di diverso peso, intonando inni e preghiere alla volta di questo Santo che “riavvicina” alla fede anche chi durante l’anno ha avuto altro cui pensare. Ed è sempre per questa devozione che ogni reatino, anche solo per un saluto, entra silenziosamente nella chiesa di San Francesco dove è esposta la statua, con l’intento di rendere omaggio a questo Santo amato da tutti.

E forse il significato più profondo della festa sta proprio in questi gesti.