Giorno della Memoria: la normalità colpevole

“La normalità colpevole”. Un titolo che esprime chiaramente quanto accaduto in ogni parte d’Europa durante la deportazione degli ebrei. E anche Rieti faceva parte del continente dove venne perpetrato uno dei crimini più orrendi che la storia ricordi. Purtroppo non l’unico. Sottotitolo “Il campo di Farfa e i riflessi della Shoah nei documenti dell’Archivio di Stato di Rieti”. Il nuovo volume curato dall’Archivio di Stato e dal suo direttore Roberto Lorenzetti verrà presentato il prossimo 28 gennaio, ventiquattro ore dopo il giorno della memoria che vuole ricordare la Shoah e le sue vittime. Il quadro che ne emerge non si discosta, come detto, da tanti altri copioni visti in Italia in quegli anni.

Roberto Lorenzetti quello dato alle stampe è sicuramente un libro difficile e che apre uno scorcio anche su una parte buia della storia del Reatino. Come nasce?

Volevamo capire come si era evoluto il fenomeno nella nostra provincia. Come anche il Reatino fu coinvolto dal più folle dei progetti che la mente umana abbia partorito nel corso della storia e come si siano svolti i fatti.

Rieti era lontana dai grandi luoghi di deportazione e dai campi di concentramento dove furono uccisi milioni di innocenti. Eppure?

Eppure ci furono riflessi e conseguenze delle leggi antisemite anche nella provincia di Rieti. Le circolari della direzione generale per la demografia e la razza, rafforzate da ordini categorici arrivati con i fonogrammi, furono applicate dalla burocrazia locale nella più assoluta normalità.

Sino ad oggi non esisteva una bibliografia su questo tema e sono poche le persone che sapevano di leggi razziali applicate anche nel nostro territorio.

Ed infatti eravamo indotti a pensare che il Reatino fosse del tutto estraneo ai terribili fatti di quegli anni. Una prima ricognizione tra i documenti conservati nei all’Archivio di Stato, ha invece portato alla luce i riflessi delle leggi razziali nel mosaico istituzionale di questo territorio.

Nulla di diverso quindi, da quanto poteva accadere in altre piccole province e città italiane.

La cosa che colpisce è che l’applicazione delle leggi di divieto per esempio di ammissione nelle scuole di bambini di razza ebraica o il rifiuto di un lavoro per i loro genitori, erano vissuti dal resto della popolazione come una cosa normale e di cui non stupirsi minimamente. Nessun segno di indignazione, ma soltanto una passiva e silenziosa accettazione dei fatti che avrebbe assistito in silenzio alla morte di milioni di uomini, donne e bambini.

Come è stato possibile?

Perché la macchina della disinformazione lavorava in modo impeccabile. Gli organi di comunicazione del regime e la stampa diffondevano costantemente notizie infondate e ogni sorta di pregiudizi sugli ebrei, definiti spie e traditori che lavoravano per intaccare l’unità della patria oltre a volersi impadronire di tutte le risorse e le ricchezze dell’Italia. Quindi un pericolo per il popolo italiano.

Una strage pianificata quindi e seminata su un terreno lavorato prima in modo sistematico.

La campagna antisemita portata avanti attraverso la radio, i quotidiani oppure inculcata agli insegnanti nei corsi di aggiornamento e quindi agli alunni e alle loro famiglie, fece si che nessuno avesse da ridire quando vennero applicati i primi provvedimenti antisemiti come l’espulsione degli ebrei stranieri, l’estromissione di studenti e professori da scuole e università, l’esclusione degli ebrei dalla pubblica amministrazione, dall’industria, il commercio e le libere professioni.

Tutto ciò è emerso, anche per il nostro territorio, durante la mostra allestita all’Archivio di Stato.

Le carte esposte nella mostra storico-documentaria testimoniano la “diligenza” dei funzionari di provincia nell’applicare i provvedimenti che iniziarono a diffondersi dal 1938 oltre che la “normalità” con cui venivano accettati e condivisi dai livelli gerarchici più bassi della pubblica amministrazione e della popolazione.

Nel libro si parla anche di quello che fu il censimento degli ebrei presenti sul territorio.

Gli ebrei vennero censiti nell’agosto del 1938 anche nel reatino. Dai documenti raccolti è emersa la corrispondenza tra il Podestà e il Minsitero dell’Interno dove si relazionava sugli interrogatori che il podestà stesso aveva effettuato ai reatini presumibilmente di razza ebraica, spesso operai della Supertessile, da varie generazioni in Italia e normalmente sposati con cittadini “ariani”. Un grazie particolare va a Maria Giacinta Balducci che tra le carte della Prefettura di Rieti e della questura ha ricostruito l’entità del fenomeno in questo territorio. Dai fascicoli del 1945 emergono anche le storie di vita dei sopravvissuti ai campi di sterminio; una fonte questa preziosissima su cui ha lavorato Liana Ivagnes. La disperata ricerca di ciò che restava delle proprie famiglie dopo la guerra, le modalità con cui si erano svolti i fatti, la cieca obbedienza dei funzionari del tempo che si rifugiavano dietro l’alibi degli ordini ricevuti al tempo delle leggi razziali costituiscono il cuore di questi scritti.

Il lavoro di ricerca portato avanti per la stesura del libro è stato quindi importante per fare luce su quanto avvenuto anche da noi.

Ha avuto la capacità di far emergere storie ed episodi rimasti sino ad ora sconosciuti. Ora possiamo raccontarli.

Come la storia di quello che viene conosciuto come il campo profughi di Farfa?

Un luogo che, anche se per un breve periodo, divenne campo di concentramento per ebrei.

La sua storia viene raccontata nel libro grazie ad un’approfondita ricerca.

Grazie all’impegno di Marilena Giovannelli e Roberto D’Angeli, ricercatore della Fondazione Museo della Shoah. Due ricerche parallele sul doppio uso della struttura usata come “campo di concentramento” prima e come “campo profughi” in un secondo momento. Oggi è quasi del tutto abbandonato e la sua memoria sembra sia stata cancellata anche in chi vive in quel territorio.

Ed invece non si deve mai dimenticare.

La speranza di noi tutti è che questo lavoro possa contribuire a restituire questo luogo alla memoria collettiva. I campi di sterminio non erano così lontani da noi e ancora oggi dobbiamo continuare a conoscere le storie della persecuzione degli ebrei. E questo libro nasce per dare a tutti la possibilità di ricostruire la storia delle persecuzioni nel reatino attraverso documenti, certificati, elenchi. Carte che, nonostante gli anni trascorsi, conservano ancora intatto e terribile il dramma degli ebrei residenti nel territorio reatino.