Giornata della Parola

Giornata della Parola, il vescovo: «La tenerezza del Vangelo è convertire il dolore in amore»

L’ultimo momento del pomeriggio diocesano della Giornata della Parola è stata la liturgia presieduta dal vescovo Domenico, con la Parola di Dio solennemente intronizzata a simboleggiare la centralità della Scrittura nella vita della comunità

L’ultimo momento del pomeriggio diocesano della Giornata della Parola (prima della cena di condivisione alla mensa Santa Chiara, in sintonia col Festival francescano, e poi il momento serale finale coi giovani attorno al fuoco nei pressi del Velino) è stata la liturgia presieduta dal vescovo Domenico, con la Parola di Dio solennemente intronizzata a simboleggiare la centralità della Scrittura nella vita della comunità che tale Giornata vuole richiamare.

Liturgia conclusasi con la consegna, da parte di monsignor Pompili, del Vangelo di Luca ai rappresentanti delle cinque zone pastorali. In primo piano, il messaggio della tenerezza e misericordia di Dio, di cui Luca è cantore. Il testo di Isaia su un Dio “materno” che non si dimentica del proprio “bimbo” Israele e la proclamazione del brano evangelico delle Beatitudini nella versione lucana hanno costituito il momento di ascolto di quella Parola che il vescovo ha preferito che i presenti “ruminassero” dentro in modo silenzioso. E la prevista omelia ha voluto sostituirla con qualche minuto di silenzio, rinviando al sito diocesano per la lettura personale del commento alle letture da lui preparato.

Nel testo dell’omelia il vescovo ribadisce come sia proprio la misericordia la cifra identificativa dell’azione cristiana, sulla scorta di quel “beati voi” e di quel “guai a voi” risuonato nel brano evangelico. Nelle parole di Gesù non bisogna leggere, spiega don Domenico, un’idealizzazione dell’essere poveri, affamati, afflitti: «Sarebbe la consacrazione dell’ingiustizia e della prepotenza umana che sono invece smascherate dalla serie dei “guai” rivolti ai ricchi, ai sazi, ai gaudenti. Né d’altra parte Gesù promette ai poveri di farli diventare ricchi perché questo creerebbe altre masse di poveri. Il Maestro piuttosto promette il “regno di Dio” che è il rovesciamento radicale della situazione presente che genera povertà, dipendenza e dolore».

Rispetto alla più nota versione delle Beatitudini, quella di Matteo, «l’annuncio di salvezza ai poveri, nella versione di Luca appare più netto e definito sullo sfondo dei guai. I poveri e i ricchi non sono però categorie sociologiche, ma categorie concrete. I poveri sono i perdenti che rischiano di essere vomitati dalla storia; i ricchi sono i vincenti che rischiano di illudersi della propria sicurezza. Agli uni e agli altri Gesù rivolge un appello chiaro: Dio sta già operando per una ribaltamento delle sorti. I poveri non devono soccombere al fallimento perché Dio sta dalla loro parte, anzi si identifica con loro come fu per Israele in terra d’Egitto. I ricchi non pensino di cavarsela da soli perché saranno sopraffatti dal loro egoismo superficiale e piatto. Dietro questa presa di posizione del Maestro si nasconde un invito alla comunità dei cristiani a non lasciarsi incantare dal fascino della ricchezza e a lottare per l’avvento del Regno di Dio».

Dunque, ribadisce Pompili, «l’alternativa proposta è netta: o coi poveri per il Regno di Dio e con i ricchi nell’illusione fallimentare. Dopo le beatitudini non c’è più posto per una neutralità tranquilla o per una falsa coscienza di fronte ai ricchi e ai poveri. Ma soprattutto è tracciata la strada della felicità che non consiste nell’adagiarsi nella situazione presente, ma nel trasformarla con la libertà dalle cose, con la forza di contrastare l’ingiustizia, con la capacità di convertire il dolore in amore».