Giordania: questo è un voto utile

Giordania: la capitale Amman

Per favorire la transizione verso una vera monarchia costituzionale.

Sono quasi 2 milioni e 300 mila i cittadini giordani chiamati alle urne, domani, per scegliere, tra i 1.425 candidati (tra cui 191 donne), i 150 deputati che andranno a formare la Camera bassa del Parlamento. Nove dei seggi in palio sono riservati a candidati cristiani disseminati in diverse liste. Per la prima volta, poi, il premier sarà nominato dalla maggioranza e non dal re. Nonostante quest’apertura da parte della famiglia reale, il voto vedrà l’astensione e il boicottaggio del Fronte di azione islamica, la formazione legata ai Fratelli Musulmani che rappresenta la principale forza d’opposizione. Sull’esito delle elezioni peseranno, oltre all’elevato rischio astensione, anche la crisi siriana e il forte richiamo tribale che spinge l’elettore a scegliere membri in vista della propria tribù. Da parte della Chiesa locale sono arrivati appelli al voto: sia il vicario patriarcale per la Giordania, mons. Maroun Laham che lo stesso patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, hanno esortato l’elettorato di fede cristiana a non disertare le urne ma senza fare campagna elettorale per alcun candidato. Sul voto Daniele Rocchi, per il Sir, ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di geopolitica e di storia e istituzioni del mondo musulmano, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano.

La Giordania va al voto quasi nell’indifferenza della Comunità internazionale. Un voto forse sottovalutato…

“La Giordania, pur non occupando le prime pagine dei giornali, pur non essendo l’Iraq, la Siria o l’Egitto, gioca un ruolo fondamentale, cruciale, nello scacchiere mediorientale. Esso è uno snodo, una terra di incontro. Basti pensare che la maggior parte delle agenzie delle Nazioni Unite e dell’Ue che si occupano di Medio e vicino Oriente hanno base proprio qui. La Giordania è un Paese fragile, povero di acqua e di soldi, schiacciato tra scomodi vicini, più grandi e potenti, e proprio per questo rappresenta una pedina fondamentale per l’Occidente. Gli scossoni che sta subendo il regno hashemita di Giordania sono forti ed esiste il rischio di una pericolosa degenerazione”.

La guerra in Siria si farà sentire sull’esito di queste elezioni?

“Direi molto. Da una parte, infatti, innesca un legame con elementi aggressivi del mondo sunnita e, dall’altra, perché nelle vicende siriane è forte l’influenza dell’Arabia Saudita che con gli hashemiti non mai avuto rapporti facili”.

La Giordania ospita, inoltre, oltre 200 mila profughi siriani, circa due milioni di rifugiati palestinesi e un milione di lavoratori stranieri illegali…

“I profughi e i rifugiati non avranno un peso diretto sul voto poiché non votano, lo avranno e lo stanno avendo sul Paese a livello economico poiché rappresentano un gravame fortissimo per il Regno. Essi sono, inoltre, un fattore di instabilità politica perché tra loro ci sono persone che si portano dietro le tensioni dei loro Paesi di provenienza, Iraq e Siria su tutti. Tutto ciò si ripercuote sulla stabilità politica interna. C’è un carico di violenza spesso legato ai gruppi jiadhisti che in Siria si stanno opponendo al regime di Assad. Questi stanno fomentando un islamismo più militante di quello dei Fratelli musulmani giordani che, rispetto ai membri dell’omologo movimento egiziano, sono più moderati e pragmatici”.

La scorsa primavera è entrata in vigore la nuova legge che ha introdotto un sistema elettorale misto, nel quale, però, solo 15 seggi, (su 150), vengono attribuiti con il sistema proporzionale su base nazionale. Alla legge si sono opposti i Fratelli musulmani che non andranno a votare. Se l’astensione sarà alta si potrà dire che, almeno ‘moralmente’, avranno vinto i Fratelli musulmani? E con quali esiti per le sorti del Paese?

“La riforma elettorale di re Abdallah II non era la novità che molti si aspettavano. La monarchia si sta muovendo con prudenza, forse, troppa, verso la democratizzazione del sistema politico. Una bassa affluenza alle urne, pertanto, sarebbe un cattivo segnale. Significherebbe, infatti, che la Corona è debole, che il sistema che la tiene è polarizzato soprattutto verso il mondo tribale dei beduini, siano essi arabi o palestinesi, con in più la spinta sempre più pressante degli islamisti. Il dilemma che sta dietro questa tornata elettorale è come passare, senza crollare, da una monarchia benevola e tutto sommato illuminata come quella attuale ad una vera monarchia costituzionale. Una transizione non ancora compiuta che potrebbe destabilizzare il Paese”.

Con innegabili riflessi anche per la comunità internazionale che sostiene il re Abdallah…

“Si tratta di una scelta prudente anche per il ruolo di zona franca, sicura, che il Paese ricopre. Una Giordania destabilizzata, infatti, renderebbe impossibile l’azione delle grandi agenzie dell’Onu e dell’Ue, tutte basate ad Amman. E non piacerebbe nemmeno a Israele che vedrebbe aprirsi un nuovo fronte di incertezza e di instabilità”.