Gioco d’azzardo: è un “gratta… e perdi”

Convegno di studio a Bologna. Ribadita la necessità di cambiare mentalità e informare sulle insidie.

Chiamiamoli “gratta e perdi”: è in questo slogan rovesciato che si sintetizza la sfida di combattere la mentalità diffusa che vede il gioco d’azzardo come una possibilità di facile guadagno. Un tema all’ordine del giorno per le dimensioni che ha assunto in questi ultimi anni, complice una legislazione “in deroga” al Codice penale (che punirebbe l’azzardo) che ha permesso il proliferare di videopoker e ‘gratta e vinci’, sale da gioco e giochi on line.

Il giocatore tipo e l’impegno educativo.

Sulle insidie del gioco d’azzardo, sabato 26 gennaio all’Istituto Veritatis Splendor di Bologna, esperti e istituzioni si sono confrontati nel convegno dal titolo “La vita non è un colpo di fortuna”. Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali dell’Università di Bologna, ha offerto una fotografia del fenomeno: “Nel 2011 ha giocato almeno una volta il 52-54% degli italiani maggiorenni, per un ammontare di 80 miliardi di euro, 60 miliardi solo nei primi mesi del 2012. Al primo posto c’è il ‘gratta e vinci’. Il giocatore tipo pratica tre giochi nell’anno, è un uomo del Centro-Sud e ha dai 35 ai 50 anni o più di 65; diverso dal giocatore online, che invece è un uomo giovane, occupato e con un titolo di studio medio-superiore. Il fenomeno comprende anche i bambini: uno su quattro, tra i 7 e gli 11 anni, è coinvolto nel fenomeno del gioco d’azzardo, mentre il 39% degli adolescenti gioca sul web”. Da qui “l’esigenza di generalizzare l’impegno educativo”, secondo Belardinelli, per il quale “molto si può fare sul piano dell’informazione e soprattutto della formazione di bambini e adolescenti”. “L’opera educativa necessaria deve fornire alle persone strumenti di valutazione e scelta, deve far cambiare mentalità dal ‘tutto e subito’ a un’ottica di progettualità e deve promuovere uno stile di resilienza, ovvero quel modo che ci permette di stare in piedi anche nelle avversità della vita”, ha aggiunto la sociologa Carla Landuzzi. “Nel gioco d’azzardo – ha precisato – l’esito è affidato al caso, domina la passività del giocatore, prevale la logica del ‘in poco tempo si vince’ quando in realtà in poco tempo si perdono centinaia e migliaia di euro. Purtroppo si tratta di un comportamento diffuso, tollerato e incentivato, soprattutto dalla pubblicità raffinata e subdola”. Infatti, “con il gioco d’azzardo ci si gioca la famiglia e la casa”, ha sottolineato Paolo Mengoli, direttore della Caritas diocesana di Bologna, parlando di tante persone, “soprattutto in situazioni economiche difficili, che sperano attraverso il gioco di uscire dalla povertà. Ma così… perdono tutto”.

Vera e propria dipendenza.

“Il gioco d’azzardo è una malattia neuro-psico-biologica”, ha affermato Giovanni Serpelloni, capo dipartimento per le politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri. “Il giocatore d’azzardo patologico – ha spiegato – è una conseguenza secondaria di un comportamento volontario in un individuo vulnerabile. Alcuni studi attestano, infatti, che le cause della vulnerabilità possono essere diverse (genetiche, date dal contesto sociale, ambientale ecc.), ma la malattia del gioco si può prevenire, curare e guarire”. La prevenzione parte da un’attenzione “alle insidie che portano alla dipendenza”, secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, “perché oggi c’è una tendenza pericolosa alla frammentazione dei comportamenti”. “Non soffermiamoci – ha esortato Andreoli – su una sola dipendenza, come per esempio quella verso il gioco d’azzardo, perché ce ne sono altre che nascono dalle stesse insidie e a volte si presentano in concomitanza: la dipendenza da televisione, da internet (sugli adolescenti influiscono molto i giochi di ruolo), da shopping, da sesso, da abbronzatura, da denaro e dalle sette”. “Chi diventa dipendente – ha osservato lo psichiatra – non parte da un disturbo conclamato, tutti sono a rischio. È per questo che bisogna stare attenti, e allora chiamiamo le cose col loro nome: ‘Gratta e perdi’ e non ‘gratta e vinci’”.

Le sfide e il ruolo dello Stato.

“Oggi s’impone un’inversione di marcia, abbiamo capito che c’è un grave problema, ma gli strumenti per governare tale questione sono tutt’ora embrionali”, ha ammesso il ministro della Salute Renato Balduzzi. Mentre mons. Alberto D’Urso, vicepresidente della Consulta nazionale antiusura, alla presenza del ministro ha rilanciato il ruolo dello Stato nella lotta al gioco d’azzardo: “La sfida educativa chiama in causa le diverse agenzie educative, i canali informativi e i molteplici mezzi di comunicazione sociale. Una sfida molto difficile che investe il 3% circa della popolazione, sopraffatta dalla pubblicità ingannevole. Tale sfida chiama in causa anche lo Stato, che ha una responsabilità educativa, ma che presenta una posizione contraddittoria e schizofrenica: mentre da una parte riconosce una certa illegalità del gioco d’azzardo, condanna e combatte l’usura, dall’altra ne promuove le cause legalizzando i giochi”. Per mons. D’Urso “sembra che la morale sia retrocessa in secondo piano al posto delle logiche economiche e tutto nella più completa indifferenza”, di fronte a giochi “moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che è necessario a far fronte ai propri bisogni”, generando “una vera e propria schiavitù”.