Gildo Balestrieri e il problema della buona morte

Al contrario di tanti altri reatini, non conoscevo personalmente Gildo Balestrieri. In occasione della sua morte, allora, ho chiesto ad un amico comune un ricordo per «Frontiera». Questo amico, che ringrazio, mi ha confidato che forse Gildo non avrebbe voluto. Gli posso credere.

I tributi a mezzo stampa resi alla figura di Balestrieri, comunque, non sono mancati. Quando un uomo si è ritrovato ad essere riferimento per tanti è normale che accada. Sono anche arrivate richieste alle istituzioni di un riconoscimento ufficiale come l’intitolazione di strade e piazze, o di borse di studio. È comprensibile.

Più difficile, invece, guardare acriticamente alla scelta di Balestrieri di farsi doloroso testimonial della campagna dell’associazione Luca Coscioni in favore dell’eutanasia.

Negli scritti di alcuni commentatori c’è quasi entusiasmo rispetto a questa posizione. La cosa desta qualche preoccupazione: non perché di certe cose non si possa o debba parlare, ma perché forse bisognerebbe affrontare questi temi con maggiore prudenza e molta modestia.

L’idea che si possa risolvere con una legge la grande complessità delle situazioni di fine vita, infatti, sembra essere una grande illusione. Non che manchi la necessità di un aggiornamento del sistema normativo di riferimento: forse è addirittura urgente e necessario di fronte agli sviluppi delle capacità di rianimazione e di assistenza artificiale dei malati gravi.

Ma parlando dei temi fondamentali della vita e della morte, bisogna ammettere che sono le componenti culturali, esistenziali ed emotive del fenomeno a rendere difficile una conclusione razionale, tecnica, in materia di fine vita.

E non ci possiamo nascondere che la depenalizzazione dell’eutanasia avrebbe una forte valenza simbolica. Sarebbe il caso di domandarsi se legalizzandola non finiremmo con l’alterare la natura, il ruolo e i valori della medicina.

Prima di esaltare acriticamente la libertà dell’individuo di “farla finita”, sarebbe il caso di farsi qualche domanda. Non sarà che dietro all’idea della “buona morte” si trova una società sempre più incapace di elaborare un crescente numero di situazioni legate alla vecchiaia, alla malattia e all’handicap?

Non sarà che nell’aprire le porte all’eutanasia si rischia di allontanare la medicina dal dovere universale di prendersi cura e accompagnare il sofferente?

E quale sarebbe il risultato di nuove disposizioni se non quello di creare nuove “situazioni limite”, che a loro volta richiederebbero nuove leggi?

Riconosciamolo: ad un certo punto la medicina comporta necessariamente azioni ai confini della vita. Ma da questo al riconoscere la legittimità di un atto radicale e irrimediabile come l’eutanasia il passo non è affatto scontato.

Gildo Balestrieri, con il video realizzato per l’associazione Luca Coscioni ha sicuramente inteso intraprendere una battaglia in nome dei diritti di tutti. Ma inevitabilmente il problema viene ricondotto ad una prospettiva individuale: «voglio smettere di vivere quando non potrò più fare le semplici cose che faccio adesso». Sono parole che vanno in cerca di dignità e di un rifugio dal dolore.

Meritano assoluto rispetto, ma insieme dovremmo ragionare su quanto sia realmente possibile pensare una umanità riassunta nell’affermazione senza limite della libertà individuale.

A noi pare che la persona umana non possa esistere che nel legame con gli altri, dipendendo da altri.

Discutiamo dunque di come affrontare la fine della vita, ma insieme cerchiamo di dare vita ad una società realmente solidale, che non si sostituisce alla persona, ma le testimonia ascolto e rispetto anche alla fine della sua esistenza.

4 thoughts on “Gildo Balestrieri e il problema della buona morte”

  1. Marco Giordani

    quando David Fabrizi parla della “scelta di Balestrieri di farsi doloroso testimonial della campagna dell’associazione Luca Coscioni in favore dell’eutanasia” ed aggiunge che “Negli scritti di alcuni commentatori c’è quasi entusiasmo rispetto a questa posizione”, non può che riferirsi alla mia nota, poiché solo io ho ritenuto giusto, per Gildo, non tacere questo suo ultimo coraggioso (checché se ne pensi nel merito) impegno.
    Ed allora, per consentire ai lettori di Frontiera di valutare questa impressione di “entusiamo”, allego il riferimento alla mia nota:
    http://www.sabinaradicale.it/content/il-lascito-di-gildo-%C3%A8-la-battaglia-leutanasia-legale-140113

    1. David Fabrizi

      L’articolo dice “quasi entusiasmo”, i toni sono giustamente rimasti al di sotto di quella soglia. Ma non era all’interessante nota di Marco Giordani che mi riferivo.

  2. carmen

    Vorrei condividere alcune riflessioni, prendendo spunto da quanto scritto nell’articolo di Fabrizi.

    Si dice:
    “Ma parlando dei temi fondamentali della vita e della morte, bisogna ammettere che sono le componenti culturali, esistenziali ed emotive del fenomeno a rendere difficile una conclusione razionale, tecnica, in materia di fine vita”.

    Credo che sia proprio a partire dalla constatazione di tutte le implicazioni, appunto, culturali esistenziali ed emotive, che afferiscono all’individuo, pur nell’ambito della società in cui vive, che non si può negare il diritto dell’individuo di decidere sulla propria vita e, in casi estremi, morte.

    Ciò non significa, ovviamente, imporre l’obbligo dell’eutanasia o dare un revolver carico in mano al medico, ma riconoscere che esistono dei limiti di sopportabilità delle vicende umane che una persona può affrontare, secondo la propria visione della propria dignità di uomo.

    E, ancora:
    “Discutiamo dunque di come affrontare la fine della vita, ma insieme cerchiamo di dare vita ad una società realmente solidale, che non si sostituisce alla persona, ma le testimonia ascolto e rispetto anche alla fine della sua esistenza”.

    Qui sembra di leggere una contraddizione: si dichiara l’ intenzione di non sostituirsi alla persona, testimoniandole ascolto e rispetto.
    Tuttavia, se ascoltare è “facile”, quando le parole che la persona pronuncia riflettono ciò che si è già disposti ad ascoltare;
    quando la richiesta espressa è il fine vita, la rivendicazione del possesso di sé stessi, per disporne nella scelta più irreversibile invece, si smette di ascoltare e ci si sostituisce, per legge, alla persona.

    Forse per la difficoltà di accettare che la vita è un valore, ed ha un valore, innanzitutto per chi la vive.
    E che alla morte si può dare un senso individuale, oltre che sociale o di eroico sacrificio .

  3. michele

    quando una famiglia in genere perde un proprio caro che si è distinto con tutti i mezzi legali o no, giusti o no…, il caro estinto è eroe; bisogna fare attenzione a creare generali esempi.

Comments are closed.