Gian Luigi Rondi, protagonista e testimone della storia del cinema italiano

Critico cinematografico, direttore di numerosi Festival, energico promotore del cinema italiano, anche sceneggiatore e regista (anche se questi due aspetti sono meno noti). Rondi ha attraversato il cinema italiano dal secondo dopoguerra ad oggi e ha contribuito a definirlo, spiegarlo, anche criticarlo, ma sempre con l’intento di incoraggiarlo a migliorare

Se ne va un pezzo importante della storia del cinema italiano. La settima arte non è fatta soltanto dagli attori e dai registi, infatti, o dalle altre figure che fanno parte della grande macchina cinematografica (sceneggiatori, costumisti, direttori della fotografia e via dicendo), ma anche da quelle persone che hanno aiutato lo sviluppo critico, teorico e storiografico della settima arte. Gian Luigi Rondi apparteneva a questa categoria: critico cinematografico, direttore di numerosi Festival nel corso dei suoi 94 anni d’età, energico promotore del cinema italiano, anche sceneggiatore e regista (anche se questi due aspetti sono meno noti). Rondi ha attraversato il cinema italiano dal secondo dopoguerra ad oggi e ha contribuito a definirlo, spiegarlo, anche criticarlo, ma sempre con l’intento di incoraggiarlo a migliorare.

La sua prima critica cinematografica è del 1947 e da allora non si è mai fermato fino a pochi giorni fa. Un’attività instancabile che ne fa un testimone privilegiato della storia del nostro cinema.

Ha vissuto, infatti, il grande fermento del cinema italiano neorealista, aiutando anche a darne una definizione teorica, secondo la sua prospettiva cattolica. Rondi, infatti, insieme ad altri storici e critici cattolici come Mario Verdone e Padre Felix Morlion sono stati i protagonisti del vivace dibattito della critica cinematografica cattolica del dopoguerra, che ha dato un contributo essenziale alla definizione della grande rivoluzione estetica ed etica che fu il neorealismo cinematografico. Ha conosciuto, poi, il grande cinema moderno, fatto da autori quali Fellini, Visconti o Pasolini. Ha assistito al riflusso degli anni Settanta e Ottanta per poi iniziare a vedere qualche novità positiva a partire dagli anni Novanta, fino alle esplosioni internazionali di autori nostrani come Paolo Sorrentino e Matteo Garrone.
Insieme alla sua carriera di critico, Rondi ha sempre portato avanti anche una carriera più istituzionale: direttore del Festival di Venezia dal 1983 al 1987 e poi Presidente della Biennale, presidente a vita dell’Accademia del cinema italiano e dell’Ente David di Donatello (i premi Oscar nostrani), e ultimamente Direttore della Festa del cinema di Roma, aveva affiancato Giulio Andreotti, suo coetaneo, negli anni in cui era stato Sottosegretario al Cinema. Proprio gli anni in cui avvenne il “fattaccio” della famosa frase, attribuita ad Andreotti, “i panni sporchi vanno lavati in casa”, riferita al film di De Sica Umberto D., frase che criticava l’immagine miserevole che quella pellicola dava dell’Italia all’estero. Frase che, a detta di Rondi, come ha raccontato nel libro “Rondi visto da vicino”, non aveva pronunciato Andreotti bensì un ambasciatore italiano.
Amico di molti divi e registi del cinema italiano, da Luchino Visconti a Vittorio Gassman, da Marcello Mastroianni ad Anna Magnani fino a Gina Lollobrigida, Rondi è stato anche sceneggiatore e regista. Negli anni Cinquanta collaborò, infatti, con autori stranieri come Joseph L. Mankiewicz e René Clair, firmò documentari e dagli anni Sessanta realizzò grandi cicli cinematografici per la televisione dedicati a grandi registi che conosce bene: Visconti, De Sica, Rossellini.
Se ne va, dunque, una figura essenziale del nostro cinema,

un osservatore preciso e puntuale dello sviluppo estetico ed etico della cinematografia italiana, un uomo di cultura che è stato anche un uomo “sul campo”, agendo e promuovendo ogni sorta di iniziativa a favore della settima arte.