Genitori con le spalle al muro

Nel film “I nostri ragazzi”, alle prese con figli che commettono crimini

Due fratelli dai caratteri opposti (uno chirurgo pediatrico e l’altro avvocato) si incontrano a cena ogni mese in un ristorante di lusso con le reciproche mogli, che si detestano senza nasconderlo troppo. Il pediatra ha un figlio, Michele, e l’avvocato una figlia, Benedetta, nata da un precedente matrimonio. I due adolescenti si frequentano spesso. Una notte una telecamera di sicurezza riprende (senza che se ne possa ricostruire l’identità) l’aggressione a calci e pugni da parte di un ragazzo e di una ragazza nei confronti di una mendicante che finisce inizialmente in coma. Le immagini vengono messe in onda da “Chi l’ha visto?” e in breve tempo le due coppie acquisiscono la certezza che gli autori dell’atto delittuoso sono i reciproci figli. Che fare? Presentato con una buona accoglienza alle Giornate degli Autori a Venezia, “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo si ispira al libro di successo “La cena” di Herman Koch, da cui trae lo spunto di fondo, ma che, poi, adatta perfettamente al contesto italiano contemporaneo. Il romanzo, infatti, poneva una domanda morale ben precisa, che è la stessa che il film mette al centro della sua narrazione: cosa faresti se scoprissi che tuo figlio ha commesso un crimine? Lo denunceresti o lo copriresti? Ma, a differenza del libro, tutto ambientato all’interno del ristorante, la pellicola di De Matteo amplia il suo sguardo e diventa un affresco preciso, profondo ed impietoso sulla condizione della famiglia italiana, sul rapporto (o sarebbe meglio dire non rapporto) fra genitori e figli, sulla mancanza di coscienza morale che echeggia nella contemporaneità. Un film che punta molto sugli attori, perché il suo regista viene dal teatro e ama lavorare sulle interpretazioni e sulle dinamiche psicologiche interne dei suoi protagonisti.

Nel ruolo dell’avvocato penalista, un ottimo Alessandro Gassmann, che sembrerebbe un uomo senza scrupoli e morale e che, invece, compie un doloroso cammino di presa di coscienza; il fratello chirurgo pediatrico è Luigi Lo Cascio, in una parte complessa perché, da difensore dei valori, si dimostra, invece, più debole delle sue aspirazioni etiche. Le mogli sono Giovanna Mezzogiorno e Barbara Bobulova: la prima che si crede rispettabile”; la seconda che si mostra, invece, migliore dell’immagine che dà di sé. I due figli, che nel romanzo di Koch erano due maschi, sul grande schermo hanno il volto di Jacopo Olmo Antinori (già adolescente nel film “Io e te” di Bertolucci) e Rosabell Laurenti Sellers (già ne “Gli equilibristi”, la pellicola che De Matteo ha girato prima di questa), perfetti nel rendere le inquietudini, l’apatia, la mancanza di riferimenti etico-valoriali delle nuove generazioni, perse dietro ai telefonini, al divertimento, al disimpegno, incapaci di avere un rapporto comunicativo con i propri genitori.

Questo è il terzo film che De Matteo dedica alla famiglia poiché è convinto che la famiglia sia la miniatura della società, ne sia la cartina di tornasole. E certamente ha ragione e i suoi lavori pongono all’attenzione dello spettatore il fatto che il nucleo familiare sia essenziale per rendere sana e forte una società. L’unico appunto che si potrebbe muovere a questo film e agli altri di De Matteo è che la sua è una visione sempre pessimista, o per lo meno che mette in luce soltanto gli aspetti negativi della realtà contemporanea, mentre spesso ci sarebbe bisogno di esempi positivi che, anche se minoritari, sono certamente presenti e vivi intorno a noi.