Gambia: dopo 22 anni l’ex presidente Jammeh lascia il Paese (e ruba l’1% del Pil)

Dopo aver perso le elezioni il 1° dicembre Yahya Jammeh ha cercato di contestarle creando una difficile crisi politica che ha portato alla fuga migliaia di gambiani. Grazie alle pressioni della Comunità economica degli Stati africani (Ecowas) e la minaccia delle truppe senegalesi di invadere il Paese, il 21 gennaio Jammeh ha lasciato il Paese con la famiglia e le sue auto di lusso, rifugiandosi in Guinea equatoriale e portando con sé 11 milioni di dollari dalle casse di uno Stato già poverissimo

Una buona notizia per i 2 milioni di abitanti del Gambia, piccola e poverissima nazione incuneata all’interno del Senegal, nell’Africa occidentale, da 22 anni governata da un unico uomo forte, Yahya Jammeh. Dopo aver perso le elezioni del 1° dicembre, Jammeh ha cercato di contestarle, creando una difficile crisi politica che ha portato alla fuga migliaia di gambiani. Finalmente, dopo le pressioni della Comunità economica degli Stati africani (Ecowas) e la minaccia delle truppe senegalesi di invadere il Gambia, il 21 gennaio Jammeh ha lasciato il Paese con la famiglia, rifugiandosi in Guinea equatoriale, altro Paese guidato da un personaggio simile, Teodoro Obiang Nguema, al potere dal 1979. Se ne è andato su un aereo cargo portandosi via 11 milioni di dollari dalle casse dello Stato (l’1% del Pil) e tutte le sue auto di lusso. Nel frattempo il neo presidente democraticamente eletto, Adama Barrow, ex agente immobiliare, si appresta a rientrare nel Paese, dopo essere stato costretto a prestare giuramento presidenziale nell’ambasciata gambiana a Dakar, in Senegal, il 19 gennaio.

Molti rifugiati in Italia. Non è un caso che tra i richiedenti asilo e rifugiati arrivati in Italia via mare moltissimi provengano dal Gambia. Lo scorso anno sono stati 11.929, il quinto Paese dopo Nigeria, Eritrea, Guinea e Costa d’Avorio. Questi 22 anni di dominio incontrastato di Jammeh sono stati un periodo molto duro per la popolazione, che oltre alla mancanza di lavoro e alla povertà, ha dovuto fare i conti con una dura repressione della libertà di stampa e di tutti i contestatori: giornalisti, studenti, rappresentanti dell’opposizione, leader religiosi sono stati arrestati, torturati, uccisi. Molte le sparizioni forzate. Nel 2000 l’esercito ha represso con la forza una manifestazione di piazza di studenti nella capitale Banjul, uccidendone una dozzina. Jammeh si era infatti garantito il sostegno delle forze armate con una serie di promozioni basate sulla fedeltà anziché sul merito o sull’anzianità, come avviene nei peggiori ambienti autoritari. I militari fedeli facevano carriera, quelli che non mostravano sufficiente devozione potevano essere retrocessi a soldato semplice, licenziati o perfino incarcerati o uccisi. All’interno dell’esercito una rete di informatori creava un clima di diffidenza e ostilità. Negli anni però questo meccanismo ha iniziato a sfaldarsi: numerose sono state le diserzioni e almeno otto i tentativi di colpo di Stato, l’ultimo nel 2014.

Diritti umani violati. Un leader ossessionato dal culto della personalità – suoi manifesti erano ovunque in Gambia – non poteva certo guardare di buon occhio i giornalisti, arrestati o costretti alla fuga. Perfino un rapper molto noto, Killa Ace, è dovuto fuggire dopo aver ricevuto minacce di morte in seguito al lancio di una canzone che accusava il governo di repressione ed esecuzioni extragiudiziali. Tantomeno gli attivisti per i diritti umani. La repressione del dissenso era all’ordine del giorno. Tra questi, Sait Matty Jaw, è stato arrestato a Banjul nel dicembre 2014 perché aveva svolto un sondaggio per conto della Gallup sul buon governo e la corruzione. Dopo quattro mesi è stato scagionato. Amnesty international nel suo ultimo rapporto denuncia la detenzione, per sei mesi, di decine di amici e parenti di persone accusate di coinvolgimento nel tentato golpe del 2014, tra cui donne, anziani e un bambino. Alcuni sono stati torturati presso il quartier generale dell’agenzia d’intelligence nazionale con “percosse, scosse elettriche, waterboarding (annegamento simulato) o l’isolamento all’interno di buchi scavati sottoterra”, metodi quotidianamente usati dal regime.

“Il sole sorge in Gambia”. “Sembra che la diplomazia abbia vinto in Gambia”, commenta Daniele Albanese, di Caritas Biella, che accoglie numerosi rifugiati gambiani. “Il dittatore se ne va, e il legittimo presidente dovrebbe entrare nella capitale. Se davvero andrà così, senza una nuova guerra, nonostante le truppe senegalesi siano già dentro il Paese, sarà una vittoria della democrazia ma anche della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale e del processo di rinascita africano. Un passo enorme per tutti gli amici gambiani in Italia e per tutti quelli che anche in questi giorni hanno dovuto lasciare il Paese. Il sole sorge in Gambia”.