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Frassica: «Questi miseri anni di Vippitudine»

Col suo ultimo libro “VIPP”, il comico ironizza sullo showbiz e ripercorre la carriera: «Con Don Matteo faccio ridere i bambini, con Fazio arrivo a tutti. L'erede? Lundini, per il suo surrealismo»

Uno, mai nessuno, spesso centomila… Nino Frassica. L’ex ragazzo messinese, classe 1950, nato e cresciuto a pane cunzato, cabaret, tv, radio e fantasia, nella sua Galati Marina, con gli anni è assurto a esempio raro di eclettismo artistico. Umorismo da fine satiro, paladino involontario di quel che resta della “tv intelligente”, mago dell’improvvisazione, appresa nella sempre verde scuola arboriana. E poi le fiction, ad aprile torna a girare Don Matteo e la nuova serie dei Fratelli Caputo. In mezzo, una decina di libri scritti, corretti e poi letti da tanti. Ultimo pubblicato, il “kolossale” VIPP. Tutta la Veritàne (Einaudi) che ci consente un incontro alla pari, tra colleghi, perché avverte: «In questo libro non sarò comico ma un accorto giornalista». A parlare infatti è, anche, il Direttore di “Novella Bella”, il fantasmagorico settimanale che stasera, come ogni domenica, passa in rassegna su Rai 3 con Fabio Fazio durante la puntata di Che tempo che fa. E il Direttore Frassica ci informa che è «il giornalista il mestiere più antico del mondo ».

Uno dei tanti mestieri che esercita questa maschera pirandelliana – discendente diretto della “scuola siciliana” che inizia con il “re del riso”, l’attore Angelo Musco – il quale vanta gli stessi natali di «Gianni Morandi: siamo nati lo stesso giorno, l’11 dicembre, siamo palindromi». Origini umili del-l’artista, «io sono umile, umido. Vengo dall’abbasso… Sono nato povero, mezzo nudo in un ambiente piccolo, poco illuminato». Destino affine al «99,99,99% degli artisti. Il rimanente 10% è figlio d’arte e quindi ricco». Non ci si stanca mai di ascoltare questo vulcanico dell’arte varia che, per baffo e trovate genialoidi – a getto continuo – rimanda a un gigante dell’umorismo, l’altrettanto eclettico Marcello Marchesi. «Sicuramente nel mio “bagagliaio” c’è anche quel tipo di comicità. L’umorismo potente di Marchesi che ho letto e riletto ne Il malloppo, in Sette zie o Il diario futile di un signore di mezza età. Ho amato molto anche il primo Stefano Benni del Bar Sport, lo amo un po’ meno quando fa il “poeta”.

In VIPP è condensato un po’ tutto il “Frassica pensiero”, ma a noi sembra che sia tornato ad esplorare anche quella stessa fauna umana de La grande bellezza.

Infatti parto e arrivo lì. Dalla coralità del film di Paolo Sorrentino e ancora prima da quella de La terrazza di Ettore Scola. Mi immergo nella superficialità di questo mondo fintamente vivo e annoiato che “sopravvive di apparenze”. E me lo posso permettere questo viaggio da dentro, perché anche io sono «VIPP».

Lei, Direttore, avverte che «non si diventa VIPP dall’oggi al domani e nemmeno da dopodomani», che di «VIPP ne nasce uno al giorno» e serve tanta «gavetta» per arrivare al mestiere dell’ospite-opinionista che è l’approdo agognato da ogni aspiranteVIPP, il quale poi, ha come ambizione esistenziale non perdere mai la sua «Vippitudine».

È proprio così. Il VIPP è una categoria eterna, sempre uguale a se stessa in ogni tempo e in ogni tipo di società in cui cerca di autopreservarsi. Certo, adesso sono un po’ più banali e superficiali. La terrazza si è allargata e questo è dovuto all’uso- abuso dei social. Te ne accorgi soprattutto quando muore un «VIPPone». Allora vedi che un attimo dopo la tragica notizia su Facebook spuntano migliaia di soggetti che pubblicano la foto sorridente che li ritrae assieme all’illustre defunto, con il quale avevano fatto il classico selfie. L’Anonimo si sovrappone, diventa lui il protagonista, anche del funerale, oltre che di tutte le opere del Personaggio.

Misteri della Rete e di anonimi italiani alla ricerca di un agente come il suo “Lelemosina” che li lanci nell’oceano dei talent e dei reality, come il suo surreale, ma non troppo, “Grande Fratello Piromani”.

Ci arriveremo anche a quello, come ai “Masterchef pelosi” in cui i giudici eliminano il cuoco appena trovano un pelo nel piatto che ha preparato. Ha vinto la tv del gossip e la caposcuola assoluta di questo genere, brutto, ma che lei riesce a far passare per bello, è Barbara D’Urso.

Tutti vogliono essere VIPP, tranne Oddo Oddi, titolare del bazar catanese che lei dice «mi ha salvato la vita, quindi è un VIPP honoris causa». Ma esiste Oddo Oddi?

Ne esistono tanti e andrebbero tutelati. Sono quelli che ti vendono tutto, anche i sogni. Uno così l’ho trovato anche a Stromboli, ma il massimo degli Oddo Oddi stava a Verona: un macellaio che nello stesso negozio vendeva pure le bomboniere.

La mescolanza è il sale anche dei VIPP. Così, tra le “Tre Marie” e le “Tre Giovanne”, i figli segreti di Fazio o di Malgioglio, i libri diVespa presentati ovunque e la cena di Amadeus – per festeggiare Sanremo bis – spuntano anche le coppie impossibili: tipo il direttore del “Fatto Quotidiano” Marco Travaglio e Tina Cipollari, storica madrina di Uomini e donne. Ma nessuno si è offeso per questi abbinamenti?

No, nemmeno Travaglio che con me comunque ride sempre, anche perché sotto sotto c’è un compli- mento. Ognuno dei VIPP se legge tra le mie righe comprende se è finito nella categoria dei colti o degli asini. E questo vale anche per i colleghi giornalisti, attori e conduttori. Attori nati poveri, certo, come Raoul Bova, di cui scrivo: «Ha avuto un’infanzia bella da un lato ma orribile dagli altri quattro lati». O un conduttore come Giancarlo Magalli che nel mio libro confessa: «Ero talmente povero che nella spiaggia con paletta e secchiello non facevo mai i castelli di sabbia, facevo solo le case popolari».

Lei che è stato il “Bravo Presentatore” di Indietro tutta nelle sue pagine “maltratta” un po’ il collega-decano Pippo Baudo…

Come potrei maltrattare un totem della cultura siciliana e della televisione italiana? Il problema di Baudo – sorride – è che Pippo si voleva chiamare Costanzo o Maria De Filippi.

In tv lei è stato frate Antonino da Scasazza, la “Iena” Tommi Paradais, il Mago Acifrass, il Maresciallo Nino Cecchini, il fratello Nino Caputo… Ma, sulle scene, qual è il vero Frassica?

Sono sempre io. Non tendo al virtuosismo né a dimostrare di essere il più bravo, mi interessa di più la maschera, cercare di fare al meglio questo mestiere e in ogni cosa che faccio provo a «lasciare un’orma».

Come tutti i bravi comici riesce a far ridere di gusto anche i bambini. Il segreto?

La semplicità del comico, quando è diretta è più facile che arrivi anche al bambino, al quale il tormentone piace, lo fa ridere e gli resta in mente per sempre. A me invece non fa ridere sentire i ragazzi di oggi che cadono dalle nuvole quando gli nomini Totò e non sanno chi sia. Io ho un vantaggio: quel tipo di pubblico giovane che ho conquistato con Don Matteo poi si allarga da Fazio in Che tempo che fa. Con questo gioco dei quattro cantoni faccio acchiapparella e acchiappo un po’ tutti.

Di Don Matteo, al secolo Terence Hill, lei scrive che «nasce a cavallo, tra il 29 e il 30 marzo…». È dal 2000 che fate “coppia” artistica fissa: aneddoti…

Ormai a fianco a lui mi sento Bud Spencer. Infatti, da principiante, ho cominciato anche a fare delle scazzottate durante le riprese di Don Matteo. Un paio di attrezzisti li ho mandati all’ospedale di Spoleto, poi la troupe si è offesa e ho smesso.

Tanti personaggi televisivi di successo ma pochi cinematografici, anche se nel suo vasto curriculum può vantare partecipazioni a produzioni internazionali: Somewhere di Sofia Coppola e The Tourist di von Donnersmarck con Johnny Depp. Forse il grande cinema deve ancora scoprirla?

Non mi scopriranno, è tardi. Con Sofia Coppola è stato come andare al luna park e lo stesso con Depp in The Tourist. Film magari visti da qualche zio d’America che stupito avrà detto: «“Mì” Nino, mio nipote di Galati Marina». In Italia abbiamo tanti bravi registi con cui lavorerei volentieri: Pupi Avati, Verdone, Sorrentino, Virzì… Ma ci sono anche tanti grandi attori. Sceneggiatori meno. Un ruolo drammatico? Per un comico fare il drammatico è una passeggiata, spesso nel registro della comicità basta spostare una virgola per passare dal riso al pianto.

Torniamo leggeri con le canzonette del Festival di Sanremo che è alle porte. Sul palco dell’Ariston, nel 2016, c’è salito anche per cantare la struggenteA mare si gioca.

Un pezzo bellissimo di Tony Canto con cui denunciavamo il dramma quotidiano degli sbarchi e dei tanti migranti che con i loro bambini sono morti annegati in mare. La situazione non è cambiata, ma quella era una poesia musicata e di fronte a certa politica la poesia è impotente… Speriamo che le giovani generazioni riescano a fare meglio.

C’è qualche giovane artista che può diventare il nuovo Frassica?

Valerio Lundini, è originale e il suo surrealismo si avvicina al mio. Lo incontrai anni fa sul set che si aggirava con una telecamera. Mi è bastato un attimo, ho visto come si muoveva e ho pensato: questo ragazzo è avanti. Speriamo non troppo avanti, perché il problema è che la tv generalista è schiava dell’auditel, il surrealismo invece è libero, ma non produce numeri.

Non possiamo salutarci senza nominare il Maestro del surrealismo televisivo, il suo maestro, Renzo Arbore…

Che dire? Quando mi cercano per fare qualcosa io prima leggo, valuto e poi decido. Quando chiama Renzo rispondo subito «Sì» e vado a scatola chiusa, tanto lo so che là dentro è pieno di quelle cose che non vende neppure Oddo Oddi.

da avvenire.it