Chiesa di Rieti

Fonte Colombo, al “Sinai francescano” si ricorda la Regola

Nel giorno dei santi dell'Ordine, incontro con mons Accrocca e fra Ricco sul valore della "forma vitae" indicata da san Francesco ai suoi seguaci e il rinnovo dei voti per i frati

Due giorni prima che il centro focale della valle reatina fosse Greccio, con la storica visita del Papa, un momento forte di “francescanità” si è vissuto a Fonte Colombo. Il 29 novembre, infatti, il calendario serafico contempla la ricorrenza di Tutti i Santi dell’ordine francescano. Ed è in tale giorno che si ricorda anche l’approvazione della Regula bullata: la “costituzione” dell’ordine, scritta secondo la tradizione in quello che è chiamato il “sinai francescano”, l’eremo che Francesco volle accanto alla fons columbarum.

Fonte Colombo come il Sinai

Fu già l’Anonimo Reatino (lo scrittore dall’identità conosciuta che, probabilmente a inizio XIV secolo, riferì le vicende di Francesco nella valle) a utilizzare l’espressione di “nuovo Sinai” riferito a Fonte Colombo, come ha ricordato fra Amedeo Ricco, biblista che ha tenuto – dopo il saluto introduttivo del vescovo monsignor Pompili – il primo intervento durante il pomeriggio di riflessione svoltosi al santuario francescano sotto Sant’Elia. Amedeo, appartenente alla provincia minoritica dell’alta Puglia e Molise, a Fonte Colombo aveva svolto, come tanti altri, il noviziato. Ora, “aggregato” alla Custodia francescana di Terra Santa, si trova a Gerusalemme a studiare scienze bibliche e sta completando il dottorato allo Studium Biblicum Franciscanum. Contentissimo di ritornare in valle reatina (per felice coincidenza, ha avuto anche la fortuna di potersi trovare, due giorni dopo, nella grotta della Natività a Greccio in cui è entrato il Santo Padre), ha proposto una meditazione tra il valore biblico del monte in cui Mosè ricevette il dono della Legge e l’eremo che custodisce la memoria della “legge” che Francesco scrisse per la sua fraternità.

Un parallelismo biblico che la tradizione francescana ama sviluppare: Francesco – ha spiegato il religioso ferrato nella Sacra Scrittura – è presentato come novellus dux, e la sua scelta della valle reatina con quello stesso “amore speciale” con cui Gesù scelse Cafarnao. Ma questa correlazione tra Fonte Colombo e il Sinai come si pone? Solo per la stesura che il Poverello d’Assisi fa del suo “Codice di vita”? O anche per la vicenda di Mosè, contestato dal popolo che guida, e che ama il suo popolo nonostante tutto? Il dramma e l’amore, che anche san Francesco sperimenta.

La riflessione di fra Ricco è proseguita trattando il tema dei “monti santi” nell’Antico e nel Nuovo Testamento: il Sinai infatti, più che un luogo individuabile, è un tema biblico. Varie, nella Scrittura, le montagne sacre, reali e simboliche, che ricorrono: il Moria, dove Abramo sale per il sacrificio mancato di Isacco; il Sinai-Oreb della vocazione di Mosè col roveto ardente e del dono della Legge; il Nebo, dove termina la sua vita; di nuovo il Sinai-Oreb col profeta Elia; e infine il monte del Signore a Gerusalemme che ricapitola tutto: «il luogo del tempio – ha spiegato il religioso – è infatti nella tradizione ebraica lo stesso Moria di Abramo e Isacco: il cerchio si chiude e Gerusalemme diventa luogo profetico, che sarà un giorno il Nuovo Sinai della Nuova Alleanza».

Il tema del “monte” ritorna infatti ampiamente nel Nuovo Testamento: «Gesù è tentato sul monte; da una altura pronuncia le beatitudini, il compimento cioè delle promesse; poi, il monte della trasfigurazione, dove i dettagli portano tutti al Sinai (la luce, la nube, Mosè ed Elia); e infine, di nuovo il monte Sion, Gerusalemme, per la Pasqua della nuova Alleanza e per la vera Pentecoste».

Fra Amedeo ha quindi concluso delineando le caratteristiche del tema biblico del Sinai: «la rivelazione (Dio che si fa conoscere e consola con la sua presenza), la mediazione (Dio che, pur svelandosi, resta irraggiungibile, “oscuro”, inarrivabile), l’alleanza (la condivisione dello stesso destino per Dio e il popolo), la Pentecoste (il dono di un Codice, di una Legge di Vita, che dà libertà)».

Una Regola per la vita

A un esperto francescanista quale l’arcivescovo di Benevento era affidata la seconda riflessione di questo interessante incontro. Monsignor Felice Accrocca – alle spalle una fruttuosa esperienza di docente di Storia medievale in Gregoriana, con molti studi sul francescanesimo medievale – ha ripercorso il valore della Regola che, quasi 800 anni fa, Francesco scrisse nella pace di quest’eremo della valle reatina.

Si tratta, ha spiegato Accrocca, in realtà di «un testo scritto a più mani, non c’è solo la mano di Francesco. Tra i luoghi in cui è stata elaborata c’è anche Assisi, al capitolo del 1223, che ha fatto il suo ruolo di “potatura” del testo scritto da Francesco. Eppure possiamo nella Regola ritrovare gli ipsissima verba Francisci»: gli elementi originali del santo sono facilmente individuabili, «perché ci sono passaggi che non possono che essere suoi». Infatti, ha chiarito l’arcivescovo, «un testo giuridico per sua natura ha un andamento impersonale e si muove con verbi al congiuntivo prescrittivo: “i frati facciano, dicano, vadano…”. E invece a un certo punto almeno una decina di volte ci sono espressioni in prima persona: “li ammonisco, li esorto…”, “i miei frati…”: ovvio che si tratti della voce di Francesco!», che utilizza queste stesse espressioni in un testo assolutamente personale quale il Testamento.

«Il punto forte della Regola è detto all’inizio ed è ripetuto alla fine: l’affermazione che il “succo” è “osservare il Vangelo di Cristo”. Quello che sta in mezzo è da leggere alla luce di queste parole, è la chiave interpretativa di tutto ciò che c’è dentro: e allora tutto ciò che c’è dentro va interpretato alla luce di questa affermazione: la nostra Regola è il Vangelo». Che è poi quello che oggi fa il Papa che di Francesco porta il nome, nonostante, ha rilevato monsignor Accrocca, certo scandalizzarsi di qualcuno «che si straccia le vesti, che vuole insegnare al Papa come si deve fare il Papa». Ebbene, c’è da chiedersi se queste persone, che si stupiscono se il Pontefice va a lavare i piedi ai carcerati, «abbiano davvero per ideale il Vangelo», ha detto senza troppi peli sulla lingua: «Se avessero il Vangelo non si stupirebbero: nostro Signore ha fatto ben di peggio! Hanno una loro idea di Chiesa che poi coincide con un’incarnazione storica di Chiesa, dopo il concilio Vaticano I e prima del Vaticano II. Non è il Vangelo il loro punto di riferimento!». E ovviamente un francescano «non può avere questo approccio, perché la sua Regola dice che la vita è il Vangelo». Di qui l’invito a domandarsi: «è veramente il Vangelo il nostro punto di riferimento? Se lo è, dovremmo avere un certo distacco da un sacco di cose: dal potere, dalla carriera, dai quattrini e da tante altre cose!».

La Regola di san Francesco si apre e si chiude dicendo che la forma vitæ dei minores è il Vangelo. «E se la prima e l’ultima cosa della Regola è l’obbedienza al Vangelo, la seconda e la penultima è l’obbedienza alla Chiesa. Quindi la Regola di Francesco si riassume in questo: vivere il Vangelo in comunione con la Chiesa e in obbedienza a essa. E allora la riflessione è sulla nostra coscienza ecclesiale, sull’amore che abbiamo per la comunità ecclesiale».

Senso evangelico e profondo sensus Ecclesiæ, dunque: le due “carte d’identità” di ogni francescano. Che si traducono nella vita fraterna. Vangelo profondamente seguito, insieme ai fratelli e «vissuto nella comunione ecclesiale, perché il Vangelo vissuto fuori dalla Chiesa può essere pericoloso: la comunità ecclesiale ci “resetta” continuamente». Nella fraternità religiosa, e nella Chiesa tutta, si sperimenta, ha concluso Accrocca, «una comunità formata di persone normali, con le loro fragilità, che però si guardano in faccia, e se sbagliano ne prendono atto». E la Regola «ci chiede questo, con grande semplicità e anche con grande onestà e grande fiducia».

Farsi santi seguendo la Regola

L’incontro è proseguito in chiesa, con una particolare preghiera del Vespro, “spezzata” dalla lettura dei vari passi della Regola affidata ai postulanti, intervallata dai canti francescani animati dal Coro Valle Santa. Regola, dunque, letta «tutta d’un fiato per accoglierla, per farla nostra», ha detto il ministro provinciale dei Frati Minori, fra Luigi Recchia, che presiedeva la celebrazione. «È bene che come francescani torniamo su questa Regola, la approfondiamo come un dono dello Spirito. Con una preoccupazione, però: da un lato imparare a leggerla spiritualmente significa non attaccarsi troppo alla lettera, cosa che anche Francesco nella sua VII Ammonizione suggerisce ai frati. Però tenendo presente non solo quello che è il carisma di Francesco, cioè questa Regola, ma l’intera storia francescana, fino a noi oggi».

È importante, infatti, celebrare la Regola nella festa dei santi francescani: «in ogni santo francescano c’è un pezzo di vita in più oltre la Regola che la santità della Chiesa ha portato avanti fino a noi oggi. Questo è fondamentale, perché anche noi facciamo la nostra parte. Per tanti secoli la Regola ha ispirato schiere innumerevoli di santi: adesso sta a noi portare avanti questa perfezione. In obbedienza alla Chiesa. Non è un caso che Francesco nel Piccolo testamento sottolinei questo aspetto, accanto alla povertà: l’obbedienza alla Chiesa».

Ecco, allora, ha concluso padre Luigi – dinanzi al quale, al cospetto del vescovo Domenico che si è posto accanto all’altare, i frati presenti hanno poi rinnovato i propri voti religiosi –, l’invito a portare avanti «il progetto di vita che fu di Francesco, soprattutto in questi luoghi che ricordano moltissimo la sua presenza e la presenza della famiglia francescana. Non solo noi frati del primo Ordine, ma un po’ tutti, perché Francesco è il fratello di tutti, è come Gesù, non può essere relegato soltanto in uno spazio, appartiene al mondo intero».