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“Finalmente libera”: in un libro Asia Bibi racconta la sua storia

«Mi chiamo Asia e vi devo la vita»: queste parole sono il filo conduttore del libro della donna cristiana pakistana, liberata dopo 9 anni di carcere, e della giornalista francese Anne-Isabelle Tollet

È un grido di ringraziamento indissolubilmente avvinto al racconto di un calvario fatto di quasi 10 anni di prigionia, di percosse, umiliazioni, fredde celle, paura. Ma soprattutto lontananza dalle sue due figlie, allora bambine, e dal loro papà, il suo amato Ashiq. E’ il grido di un’innocente, una contadina cattolica di Ittan Wali, un piccolo villaggio nella remota provincia del Punjab, in Pakistan. Ad Asia Bibi è stato attribuito il 37.mo premio letterario dei diritti dell’Uomo proprio per questo libro che, realizzato assieme alla giornalista francese Anne-Isabelle Tollet per le edizioni du Rocher, narra le sue vicende.

Asia venne condannata a morte per blasfemia da un tribunale del distretto di Nankana nel 2010. Una sentenza confermata dall’Alta Corte di Lahore nel 2014 che alla fine, il 31 ottobre del 2018, muta in assoluzione per inconsistenza delle prove da parte della Corte suprema pakistana, che poi ha ulteriormente rigettato la richiesta di riapertura del processo. Asia deve, poi, passare nascosta dei mesi a Karachi prima di riuscire a partire per il Canada dove dal maggio 2019 vive con la sua famiglia sotto falso nome per sfuggire alla rabbia dei fondamentalisti.

E’ il 14 giugno del 2009 quando la sua vita cambia per sempre. Beve da un pozzo in una giornata di 40 gradi mentre lavora nei campi. Alcune donne la accusano di aver contaminato il recipiente per attingere acqua, essendo “un’impura”, e poi di aver offeso Maometto. Finisce in prigione già il 19 giugno. Da allora si susseguono avvenimenti che legano quest’umile contadina analfabeta alla storia dei grandi della terra e la fanno conoscere in tutto il mondo. Perché suo malgrado, Asia diventa un simbolo e la sua vicenda è legata a quella legge sulla blasfemia che in Pakistan colpisce tutti, cristiani e musulmani.

Il dolore e la gratitudine

A chi ha seguito la sua vicenda fin dall’inizio, rileggere negli anni la sua storia più da vicino, conoscere dalle sue stesse parole i momenti di speranza, spesso seguiti da scogli che sembravano renderla vana, non può che commuovere profondamente e imprimere nel cuore un’esperienza: è grazie al “sì” al bene e a Dio di tanta gente che oggi Asia è salva. Come il “sì” della giornalista francese Anne-Isabelle Tollet che è riuscita in vari modi a mobilitare l’opinione pubblica internazionale arrivando fino all’Onu e ha fondato un Comitato internazionale per salvare la donna pakistana. E scrive questo terzo libro su Asia, finalmente firmandolo assieme a colei per la quale si è battuta per anni.

Nel libro ritornano alla memoria quei 3.421 giorni in carcere, che iniziano con un collare di metallo stretto lì dove l’abbraccio che Asia Bibi conosceva era stato quello delle figlie. La paura di essere uccisa si mischia, nei ricordi, a quelle notti di percosse improvvise, al periodo della malattia, alle umiliazioni, agli oltraggi, anche a un momento di scoraggiamento che fa spazio, seppur per un istante, al pensiero della morte per le immani sofferenze. Ma la fede vince. E’ la fede, infatti, l’altra grande protagonista di questo libro. Asia che si sarebbe potuta salvare se avesse abiurato, non lo fa. Il libro riporta le sue suppliche al Signore nei momenti peggiori, così come gli spiragli di speranza che a volte si aprivano come quando vanno a trovarla il governatore del Punjab, Salmaan Taseer, musulmano, e poi il ministro cristiano per le minoranze, Shabhaz Bhatti. Entrambi pagarono con la vita, nel 2011, il loro impegno per salvare Asia Bibi. Fra i molti che si sono spesi, in un capitolo Asia ricorda, con affetto, la vicinanza di Benedetto XVI e di Papa Francesco che, tra l’altro, il 24 febbraio del 2018 ricevette in udienza privata il marito e la figlia piccola della donna.

I cristiani in Pakistan

Nel libro trova anche spazio il racconto di cosa voglia dire essere cristiani in Pakistan, specialmente nei piccoli villaggi, dove spesso si rischia quando le folle inferocite sono accecate senza nemmeno aspettare il verdetto dei giudici. Per le donne è poi peggio: accade che ragazze cristiane vengano rapite, violentate, costrette a convertirsi e date in sposa senza chiedere il loro parere. Ma Asia parla anche della speranza con l’elezione del primo ministro Imra Khan che ha promesso di difendere i cristiani perseguitati e tutti gli oppressi e che di fatto ha accolto con favore anche la sua assoluzione.

Mi chiamo Asia e vi devo la vita

“Se quel mattino del 14 giugno… una delle mie figlie avesse avuto la febbre… se non avessi avuto sete… non sarei qui davanti a voi. Non conosco parole abbastanza forti per esprimervi la mia gratitudine. Mi avete permesso di resistere e non mollare. Mi avete dato la forza e la speranza, e oggi continuate a rendermi onore leggendo questo libro”. “Mi chiamo Asia – conclude – e vi devo la vita”.