La festa nuziale aperta a tutti

“Non ridurre il Regno di Dio” a una “chiesetta piccoletta”

Per la quinta domenica consecutiva troviamo Gesù che parla in parabole. Sono gli ultimi giorni della sua vita terrena, si trova nel tempio di Gerusalemme e davanti a sé ha i capi dei sacerdoti e dei farisei. L’immagine che usa è il banchetto nuziale, l’ospite prepara la festa per il figlio che si è sposato; spera che la festa possa riuscire nel migliore dei modi, per la gioia di tutti. Ma il primo risultato non è quello sperato. Nel Vangelo leggiamo: “Ma questi non volevano venire”; e poi “ma quelli non se ne curarono”; e infine “presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero”. Noi leggiamo un invito di un re, ma soprattutto leggiamo la risposta all’invito, accolto con fastidio perché viene a sconvolgere il modo di condurre l’esistenza. L’invito, ricorda Papa Francesco all’Angelus, ha tre caratteristiche: la gratuità, la larghezza, l’universalità. “Gli invitati sono tanti, ma avviene qualcosa di sorprendente: nessuno dei prescelti accetta di prendere parte alla festa, dicono che hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano indifferenza, estraneità, persino fastidio”.

Come leggere queste parole, la parabola, se non come un aspetto di quella libertà che il Signore ha dato a ogni uomo di accettare o meno il suo invito. Dire no è rifiutare la vera festa, rifiutare il banchetto della gioia vera. Al re interessa solo che la festa riesca, preme che la partecipazione sia numerosa, e non resti un solo posto vuoto. Il no alla festa è un mettere in primo piano il proprio interesse, la banalità del quotidiano, delle proprie piccole cose, del proprio mondo chiuso. “Dio – ricorda Francesco – ci offre gratuitamente la sua amicizia, ci offre gratuitamente la sua gioia, la salvezza, ma tante volte non accogliamo i suoi doni, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi”. La sala della festa non può restare vuota e il re manda i suoi servi a invitare persone al banchetto; non importa se buoni o cattivi, l’importante è che accettino l’invito.

Nell’omelia pronunciata in San Pietro per la Messa di ringraziamento per i due santi canadesi, il Papa aveva messo in primo piano la risposta che i missionari hanno dato all’invito del Signore: “Sono usciti a chiamare tutti, agli incroci del mondo”. Perché, ricorda Francesco, “se la Chiesa si ferma e si chiude, si ammala, si può corrompere, sia con i peccati, sia con la falsa scienza separata da Dio che è il secolarismo mondano”.

Torna l’immagine della festa nuziale, del re che non si da per vinto, “non sospende la festa, ma ripropone l’invito allargandolo oltre ogni ragionevole limite e manda i suoi servi nelle piazze e ai crocicchi delle strade a radunare tutti quelli che trovano. Si tratta di gente qualunque, poveri, abbandonati e diseredati, addirittura buoni e cattivi – anche i cattivi sono invitati – senza distinzione. E la sala si riempie di esclusi”.

Ecco la sorprendente novità del Signore che non si ferma a invitare solo l’élite culturale e religiosa, ma apre le porte a tutti. Se i primi invitati, leggiamo in Matteo, non erano degni, nessuna paura, si cerca altrove, sulle strade del mondo, senza dimenticare, leggiamo nel Vangelo di Luca, storpi, ciechi e zoppi; come dire, senza lasciar da parte nessuno, nemmeno quell’umanità formata da diseredati e poveri. “La bontà di Dio non ha confini e non discrimina nessuno”. È il messaggio che Francesco ripete dall’inizio del suo pontificato: nessuno deve sentirsi privilegiato, nessuno deve mettersi al centro. “Dobbiamo aprirci alle periferie, riconoscendo che anche chi sta ai margini, addirittura colui che è rigettato dalla società è oggetto della generosità di Dio. Tutti siamo chiamati a non ridurre il Regno di Dio nei confini della ‘chiesetta’, la nostra ‘chiesetta piccoletta’”. La condizione: indossare l’abito nuziale, “cioè testimoniare la carità verso Dio e verso il prossimo”. La festa si trasforma così anche in giudizio, l’uomo cacciato perché non indossava l’abito nuziale. L’’abito rappresenta la coerenza tra fede e opere, tra ascolto della parola e condotta pratica della vita. Non basta aver detto di si, occorre indossare l’abito, cioè rinnovare il si perché “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”.