Cultura

Ferretti, il Dante degli scenografi

Dalla provincia italiana a Hollywood: il tre volte premio Oscar si racconta. L'inizio con la Medea pasoliniana, Fellini, il kolossal "Made in China" e il festival Scenaria nella sua Macerata

Se per il grande scenografo Dante Ferretti – oltre 60 film, collaboratore di Fellini e Scorsese, vincitore di tre Oscar – esiste un segreto nel lavoro che fa, è quello di metterci sempre un errore dentro. «Io vivo facendo sbagli e mi sono convinto che se riproduci sul set una cosa perfetta anche nei minimi dettagli, allo spettatore può sembrare finta: invece nel cinema è l’errore che fa diventare tutto più credibile».

Strano ma vero. «Avevo 28 anni, l’ho imparato da Pier Paolo Pasolini – racconta Ferretti – quando durante le riprese del Decameron si doveva girare una scena sulla piazza della basilica di Santa Chiara a Napoli (è l’episodio “L’allievo di Giotto”, ndr): mi accorsi che la scala duecentesca aveva un corrimano, sul quale dovevano scivolare dei ragazzini, che era invece di due secoli dopo. Mi avvicinai al poeta-regista, con il quale ci siamo sempre dati del lei, e gli dissi “Senta maestro, c’è un errore…”. E lui, che aveva già capito: “Ferretti, non sia così pignolo, lo sa che andiamo verso il futuro… non stia a preoccuparsi, è meglio così, l’importante è che i ragazzi si divertano”. Ecco, per me da allora l’errore è fondamentale, ricostruisce la verità, ti può far capire meglio un’opera d’arte». Se l’avesse detto Mario Garbuglia, lo scenografo prediletto da Luchino Visconti, non ci avremmo creduto. A lui, infatti, il regista de Il gattopardo era arrivato a chiedere persino che nei cassetti delle credenze del palazzo di Donnafugata ci fossero vere stoviglie d’epoca e tovaglioli con le iniziali del principe di S

Due “impronte” artistiche diverse, la sua, estroso realizzatore dei sogni di Federico come ne E la nave va, e quella di Garbuglia, un quasi ossessivo filologo della verosimiglianza…
Ma abbiamo una comune origine: siamo nati tutti e due nelle Marche, io a Macerata e lui a Fontespina di Civitanova. E marchigiani sono, solo per ricordare i più celebri, anche Ferdinando Scarfiotti, che vinse l’Oscar con L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci (era originario di Potenza Picena), Carlo Cesarini da Senigallia (autore delle scene televisive di Canzonissima, Studio Uno e Milleluci) e Giancarlo Basili di Montefiore dell’Aso, collaboratore, tra gli altri, di Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Gianni Amelio e Pupi Avati.
 
Le Marche, culla dell’arte scenografica, dunque. Marchigiano, tra l’altro, è anche Franco Malgrande, direttore degli allestimenti scenici della Scala di Milano. E anche il regista Luciano Gregoretti, di San Severino Marche, è stato scenografo: cominciò la sua carriera come assistente di Giulio Coltellacci nell’allestimento di commedie musicali al Sistina di Roma negli anni ’60. Perché questa formidabile fucina in quella piccola striscia d’Italia? C’è forse una specie di magia tra quelle dolci colline?
Il paesaggio, i borghi, i monumenti possono essere senz’altro uno spunto per la creatività. Io, per esempio, nel costruire la macchina oraria di Hugo Cabret (il film di Scorsese per il quale ha ottenuto il suo terzo Oscar, ndr) mi sono ispirato all’orologio meccanico della Torre Civica di Macerata, dove salivo da bambino a curiosare. Comunque, vorrei che dalle Marche uscissero ancora bravi scenografi tra i giovani. È per questo che, seguendo un’idea di Mauro Mazziero, partecipo volentieri all’organizzazione del primo festival italiano dedicato a questa arte: si chiama “Scenaria” e si svolgerà nel 2022, appena il Covid ce lo permetterà, proprio a Macerata. Daremo premi a chi si distinguerà nei vari settori: cinema, teatro, opera lirica. Faremo mostre e incontri. Il programma è ancora in laboratorio, intanto però si può vedere sul sito www.scenariafestival.it il documentario Marche, una terra di scenografi. Io spero che la scenografia possa essere il mezzo per una rinnovata stagione delle arti, in Italia e nel mondo.
 
Lei come ha cominciato, quando ha deciso di fare questo mestiere che lo ha portato dalla profonda provincia italiana fino a Hollywood?
Quando frequentavo l’Istituto d’Arte, a Macerata, anche se con scarsi risultati, andavo nel pomeriggio nella bottega dello scultore Umberto Peschi a vedere come si crea un’opera d’arte. E la sera, prendendo con una scusa qualche soldino dal portafoglio di papà, andavo al cinema. Rimasi affascinato da Ben Hur. E un giorno Umberto mi disse: “Ma tu, Dantino, che vuoi fare da grande?”. E io – avevo 13 anni – risposi, senza rendermi conto di quello che significava: “Lo scenografo”. E così una volta andai a Roma con mio padre, che faceva il falegname, a consegnare un mobile e mi fermai davanti a Cinecittà: “Ecco, è qui che voglio lavorare”. Mi diplomai e presi un treno per la Capitale con l’intenzione di non tornare più nella mia terra, se non per trovare i miei. Invece, ironia della sorte, ci ritornai pochi mesi dopo a fare l’aiuto scenografo di Luigi Scaccianoce, sulla riviera del Conero, dove il regista Domenico Paolella stava girando due “peplum”.
 
Poi l’esordio con Pasolini e il nome che compare per la prima volta nei titoli di testa del film…
Quell’esperienza con Scaccianoce, il mio maestro, fu un lasciapassare, diventai il suo braccio destro. Un sabato d’estate di ritorno da una vacanza a Ponza, mi telefonò Franco Rossellini, il produttore, per dirmi che dovevo fare subito la valigia per andare a Istanbul e in Cappadocia e decidere con Pasolini le location di Medea di cui sarebbero iniziate subito le riprese. La valigia ce l’avevo già pronta… Il giorno dopo mi presentai. E cominciò l’avventura… Con Pasolini ho fatto altri cinque film.
Poi l’incontro con Federico Fellini, altro segno fondamentale della sua carriera.
Nel ’78 feci Prova d’orchestra. Ma avevo già collaborato con lui in Satyricon. Diventammo subito amici, anche fuori dal set. Quasi fratelli. Ci intendevamo al volo. Ogni mattina mi chiedeva quali sogni avessi fatto perché voleva riportarli nel film a cui stavamo lavorando. La domenica andavamo a pranzo insieme a Fregene, anche con Giulietta Masina e mia moglie Francesca Lo Schiavo (la set decorator e scenografa che ha condiviso con lui i tre Oscar, ndr). Mi manca tanto. Gli ho voluto bene. Ricordo ancora la telefonata con la quale Giulietta mi informò della sua morte: ero a New Orleans a girare Intervista col vampiro con il regista Neil Jordan e non riuscii a venire in Italia per dargli l’ultimo saluto. Mi assalì un dolore profondo. La moglie era disperata: “Dante – mi disse Giulietta piangendo – non sai cosa è successo… Federico se n’è andato”. E pochi mesi dopo ci lasciò anche lei, grande donna, grande talento, grande sensibilità.
Maestro Ferretti, lei adesso è nel suo studio di Cinecittà, l’attrezzeria n.17 sulla cui porta c’è scritto “C’era una volta”… Invece il grande cinema c’è ancora. Sta lavorando a una nuova produzione?
Certo! Preparo le scenografie di Stars and scars, un film di azione e fantascienza ambientato tra il 2050 e il 2080, è l’opera prima della giovane regista cinese Yi Zhou. Con me c’è anche mia moglie Francesca Lo Schiavo, il direttore della fotografia è un altro premio Oscar, Vittorio Storaro.
da avvenire.it