Fermiamoci

L’attenzione è qualcosa a cui abbiamo perso l’abitudine, sempre presi dal correre esistenziale e dalla frenesia della produttività e del consumo.

Schiavi di bisogni auto-indotti e auto-costruiti, siamo divenuti incapaci di conoscere, di riconoscere, persi in un vuoto che è assenza di Tempo, concentrazione e silenzio.

Se c’è un peccato dell’umanità è quello della dissipazione e dello stordimento. Una forma di progressiva e insanabile dipendenza che aliena dalle necessità dell’essere e del fermarsi.

L’idea della umana dimensione, della contemplazione e del pensiero fanno tremare di paura e di smarrimento e così l’alienazione nell’impegno prende il sopravvento; vedere, fare, comprare, frequentare i nuovi templi della commercialità, osannare la squadra del cuore nelle liturgie di massa sportive. Ignoranza che genera ignoranza; vuoto che genera vuoto, nulla coperto da valore.

Gli uomini super impegnati, cioè i grandi fuggitivi, pongono la stima di sé stessi nei profitti ottenuti dalla vendita del proprio Tempo alle necessità della produzione e del denaro, strutturando modelli di società e di lavoro che distruggono l’ars costruens, la sapienza dell’artigiano, la saggezza e la magnanimità del contadino, la forza ed il vincolo solidaristico dell’operaio.

Sicuramente, a tal riguardo, una delle conquiste più incivili dell’umanità è quella di aver trasformato il lavoro in un immenso strumento di prevaricazione morale e sociale, che molto spesso offende e indigna schiere di giovanissimi; è il lavoro che non dà certezze, non dà futuro e non dà un adeguato compenso, creato soltanto per gonfiare a dismisura la fabbrica dei (non) bisogni, per cementare il potere della tecnocrazia e dei suoi microchip, microprocessori, assemblaggi elettronici etc. Esso sta lasciando una pesante eredità composta da disperazione, precariato, nevrosi e malattie nervose, che lasciano all’uomo solo un lontano e vago ricordo di sé stesso, allontanandolo da quelle relazioni primarie (amicizia, famiglia, affetti, solidarietà, studio) che costituiscono gli elementi essenziali dell’umano essere; lo rendono estraneo al pensiero, al gioco, al riposo, alle cose semplici, a ciò che genera bellezza e che costruisce la Storia. Essere ed esistere, ma mai più al di là delle mode, mai più al di là dei tempi che corrono, mai più al di là dell’ordinario e del mondano.

E’ il trionfo della manipolazione culturale, l’unica reale funzione del mondo che il Padrone dell’oggi va costruendo, tanto da aver preso il posto, quanto ad importanza, dell’accumulazione economica, dello sfruttamento materiale e dei conflitti economici.

Lo sfruttamento economico viene infatti progressivamente sostituito dall’alienazione sociale, dalla partecipazione dipendente con cui l’individuo viene «sedotto, manipolato, incorporato, anziché ridotto in miseria e controllato con metodi polizieschi». L’egemonia di questo processo è via via acquisita e consolidata da coloro che controllano lo sviluppo della conoscenza e che possono quindi pianificare il futuro in ambiti sempre più ampi del comportamento individuale e collettivo.

Ha scritto Guido Ceronetti ne “La fragilità del pensare”: «per adattarsi al mondo com’è ora la condizione è di perdere umanità nella misura ed alla velocità che questo mondo impone… i luoghi teneri dell’anima dovranno pietrificarsi, si nascerà amputati».