I fedeli hanno un ruolo fondamentale nello spingere il mondo alla sostenibilità

La sessione pomeridiana del 13° Forum Internazionale dell’Informazione ambientale è stata dedicata alla riflessione sul rapporto tra religioni e conversione del modello produttivo. I fedeli hanno un compito fondamentale per spingere il mondo a impegnarsi in modo adeguato per raggiungere i risultati di sostenibilità promessi ma non ancora concretizzati

Una nuova etica dell’ambiente per sconfiggere l’antropocentrismo deviato e offrire un’ulteriore spinta alla lotta per il salvataggio del pianeta, stretto nella morsa del riscaldamento globale. A sottolineare l’importanza della fede come motore dello sviluppo sostenibile sono stati i relatori intervenuti nella sessione pomeridiana del 13° Forum Internazionale per l’Informazione ambientale, organizzato da Greenaccord in collaborazione con il ministero dell’Ambiente e degli Esteri a Frosinone.

“La fede religiosa può e deve essere il motore dello sviluppo sostenibile”, ha detto Martin Palmer, direttore generale Arc, Alliance of Religions and Conservation di Londra. Le religioni detengono “il 20% dei terreni agricoli e oltre il 15% del Pianeta è considerato sacro”, ha ricordato Palmer. Numeri imponenti che il movimento ambientalista “ha gravemente ignorato e ridicolizzato”, privilegiando nell’analisi “il presupposto miope del capitalismo”. Il direttore di Arc ha sottolineato l’importanza, quando si parla di ambiente, “di partire dalla ricerca e dalla valorizzazione della diversità, per superare l’idea che esista una soluzione univoca, un unico modello che ci aiuterà a trovare risposte ai cambiamenti climatici”.

Anche il concetto di “cambiamento” va ribaltato secondo Palmer, privilegiando invece “il recupero di tradizioni e comportamenti religiosi che possono portare grandi risultati anche se ci vuole molto tempo”. Ma il limite più grande degli ambientalisti è per il teologo l’incapacità di raccontare una storia in cui “chi ascolta può trasformarsi in uno strumento di cambiamento”. Il vero problema quindi “non è il cambiamento climatico ma è il comportamento umano, che ha perso il linguaggio positivo. Basta leggere gli obiettivi di COP21: ciò che manca di più è proprio la componente emotiva”, ha concluso Palmer.

Per il vescovo di Frosinone, Ambrogio Spreafico, “è finito il tempo degli allarmismi e delle chiacchiere, ora serve maturare una nuova consapevolezza della situazione drammatica del pianeta”. Giustizia, ambiente e pace, ha aggiunto Mons. Spreafico, “sono sempre legati indissolubilmente, come ricorda spesso papa Francesco: grido degli uomini e della nostra madre Terra”.

Il dialogo tra etica laica e religiosa è stato al centro anche dell’intervento di Carlo Ubertini, assessore all’Ambiente del comune di Rieti che ha lanciato il progetto di “un centro di etica ambientale tra Comune e Diocesi per creare cultura che rompa barriere e che si indirizzi sulla costituzione di nuovi stili di vita e nuovi modelli di sviluppo. Con la Laudato Si di papa Francesco, la religione cattolica si apre alla scienza con due novità: da una parte l’attribuzione di valore intrinseco alla natura, alle specie e agli ecosistemi, dall’altra il ridimensionamento del ruolo dell’uomo in rapporto ad un antropocentrismo deviato”, ha detto Ubertini, secondo cui l’unica strada da percorrere è quella di “unire l’etica laica e quella religiosa spingendo l’uomo ad abbandonare questo delirio di autosufficienza”.

Critiche agli sforzi legati al tema della sostenibilità realizzati finora sono arrivati da Michael Renner, Senior Researcher al Worldwatch Institute, che nella sua relazione ha evidenziato come “molti indicatori di inquinamento e consumo di risorse continuano a crescere in modo preoccupante nonostante gli ultimi anni di crisi economica. Qualche esempio: l’impatto della pesca ha raggiunto livelli insostenibili tanto che appena il 10% delle zone ittiche ha pesce sufficiente; la concentrazione di rifiuti plastici in mare sta aumentando tanto che entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci in acqua; il livello di estrazione di minerali non si è mai arrestata e così pure la produzione energetica. Questi – ha aggiunto Renner – sono tutti fenomeni che provocano una destabilizzazione del clima e mostrano come nessun traguardo ambizioso sia stato ancora raggiunto. Le politiche attuali stanno solo facendo diminuire la crescita delle emissioni nocive ma non stiamo invertendo la rotta”.