Fabio Melilli: presente e futuro della Sanità a Rieti

Domanda: «Onorevole, l’ospedale San Camillo de’ Lellis, chiude o no?» Risposta: «Le pare possibile che l’ospedale San Camillo de’ Lellis possa chiudere? Mi pare proprio di no».

Inizia così la lunga intervista concessa ha «Frontiera» in cui l’onorevole Fabio Melilli ha affrontato un po’ tutti gli aspetti del sistema sanitario locale e regionale e tutte le criticità che hanno impegnato e preoccupato il personale sanitario, le associazioni, la Chiesa di Rieti, i cittadini.

Il discorso abbraccia e colloca in una prospettiva sistematica il regolamento sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni, «che lo ha condiviso», con cui il ministro Lorenzin «definisce i livelli ottimali della Sanità in Italia»; gli atti del Governo regionale, nei quali «non c’è una riga di Zingaretti che penalizza Rieti e il suo ospedale»; il ruolo della direzione della Asl di Rieti, cui spetta «la riflessione sul modello organizzativo», da sottoporre «all’attenzione della Regione con l’atto aziendale».

E a dispetto delle preoccupazioni di alcuni, Melilli sottolinea la necessità del cambiamento: «Non possiamo trastullarci con due medicine e due chirurgie come abbiamo fatto per trent’anni. Piuttosto dovremmo scommettere in una sanità che ritrova fiducia da parte dei cittadini. E impedisce o ferma l’esodo verso altre regioni». E ancora: «È chiaro che deve cambiare il modello organizzativo, ma perché si preoccupano i sindacati? Perché ogni volta che la politica pronuncia la parola cambiamento c’è una resistenza? Senza sapere di cosa stiamo parlando. Io non ho detto “come” deve cambiare la sanità: non spetta a me dirlo. Ma avverto la necessità di cambiare profondamente». «Noi siamo una provincia che ha una conformazione orografica che impone che la medicina sul territorio sia un po’ diversa da quella che è stata nel passato. O vogliamo continuare a caricare il pronto soccorso di codici bianchi?»

Quindi il deputato rilancia sulla novità della clinicizzazione di alcuni reparti dell’ospedale provinciale: «Significa aprire le porte a professionalità esterne. Non possiamo passare come la provincia che ogni volta che viene qualcuno da fuori fa lo sbarramento».

Ma Melilli non manca di affrontare il nodo Amatrice: «La casa della salute era in aggiunta, non in alternativa all’ospedale», aggiungendo che in ogni caso «La scelta della casa della salute non è funzionale a quel territorio», perché queste strutture dovrebbero essere un luogo che consente ai cittadini «di trovare risposte che nono ospedalizzano, ed Amatrice non ha un bacino d’utenza che scolta l’ospedale di Rieti se gli offri una casa della salute».

Ciò non toglie – aggiunge l’onorevole – che il presidio ospedaliero di Amatrice «va sintonizzato con quello di Rieti: ci vuole elasticità. Se serve un medico parte: sono le équipe che si muovono e fanno numeri, non i posti letto». A Magliano, invece, «la casa della salute ha un senso, perché il bacino d’utenza è molto più largo e Civita Castellana può svolgere un ruolo di sinergia con il presidio di Magliano».

«Ad Amatrice – insiste il Segretario regionale del Pd – andrebbero semmai aggiunti dei posti letto di riabilitazione. Ritengo che sulla riabilitazione la provincia di Rieti vive uno scandalo perché è costretta a mandare i suoi anziani a Roma a riabilitarsi quando questa provincia era il luogo naturale della riabilitazione dei romani. Da vent’anni a questa parte avremmo dovuto fare il percorso inverso, cioè portare in collina chi sta male».

Perché non è accaduto? «Perché la sanità privata ha vinto per vent’anni e ha scelto il sud del Lazio. È possibile che in questa provincia non esiste una sanità privata? C’è anche una sanità privata buona, ma non ha scelto mai la nostra provincia».

A livello regionale, secondo Melilli, il nodo decisivo è uscire da commissariamento: «al di là della polemica politica, o dimostriamo al ministero dell’economia che la Regione Lazio è una regione “normale”, o non c’è futuro».

Ma non basta: l’onorevole affronta il ruolo dei sindaci e le polemiche sulla mancanza di partecipazione della maggior parte di loro ai problemi della sanità, come pure il crescente attivismo dei cittadini, istanze “dal basso” «per le quali la politica deve sviluppare un po’ più di “antenna”».