Europa: tiepidi consensi alla “via italiana”

Il tour del premier Letta a Berlino, Parigi e Bruxelles ha riproposto alcuni nodi della presenza della Penisola nella “casa comune”. Le Cancellerie del Continente fanno fatica a comprendere come possa procedere con successo il nuovo esecutivo, sostenuto da forze fino a ieri avverse, anzi alternative”. Per non parlare della discontinuità con “l’agenda Monti” e il farsi largo delle forze antieuropeiste.

Unità nella diversità. È il motto dell’Unione europea: da una parte esso esplicita l’obiettivo e la traiettoria verso la quale sono protesi i popoli e gli Stati che costituiscono la “casa comune”; dall’altra certifica che il percorso intrapreso non intende livellare le differenze, bensì valorizzarle in un contesto più ampio. Purché – e questa è una regola aurea – le diversità non si trasformino in insanabili contraddizioni o in spinte centrifughe tali da minacciare i valori e le mete comuni e l’esistenza stessa dell’Ue. È in questa chiave che occorre rileggere, oggi, il riposizionarsi di ogni Stato aderente all’Unione europea (dalla Germania alla Francia, dal Regno Unito agli Stati orientali e mediterranei), alla luce delle grandi, e non sempre positive, novità intervenute negli ultimi cinque anni in relazione alla crisi economica.

In questo quadro, il recente tour europeo del premier italiano Enrico Letta ha svelato alcuni elementi da appuntare nell’agenda nazionale, perché potrebbero essere utili per gli sviluppi futuri della politica tricolore. Letta ha trovato a Berlino, a Parigi e a Bruxelles, la consueta simpatia con la quale al di là delle Alpi si guarda al Belpaese e che le opinioni pubbliche e i mass media esteri rimarcano con maggior incisività rispetto alle classi politiche dei Paesi partner. D’altro canto a Letta non saranno sfuggiti giudizi e stereotipi che pure gravano sull’”italianità” (pregiudizi che anche in Italia non mancano verso tedeschi, britannici, francesi, spesso oggetto di sapide barzellette). Così l’Italia è il Paese della fantasia e della cultura, ma anche quello in cui il senso civico è ritenuto tra i più deboli in Europa, misurato – solo per fare qualche esempio – con la nostra modesta raccolta differenziata, con l’incapacità cronica di rispettare le file, oppure con l’elevatissimo livello di evasione fiscale. Per quanto riguarda la politica, il gigantesco debito pubblico che grava sull’Italia rappresenta, agli occhi stranieri, la certificazione di una consumata, reiterata irresponsabilità politica, finanziaria e sociale (per il peso che grava sulle future generazioni): Roma – si sente dire spesso fuori dai confini nazionali – non affronta con continuità il nodo della progressiva riduzione del debito perché non vuole farlo e perché, in fondo, dell’espansione del debito un po’ tutti gli italiani e un po’ tutti i partiti hanno tratto giovamento nel tempo.

Ma ascoltando i discorsi di Angela Merkel e di François Hollande, di Herman Van Rompuy e di José Manuel Barroso, gli interlocutori del presidente del Consiglio nel suo viaggio europeo, si è palesata tra le righe anche una certa incomprensione dell’ultimo responso elettorale. Il modesto esito di Monti, cui è seguito il sostanziale rinnegamento della stessa “agenda Monti” – ritenuta fino a pochi mesi fa da gran parte degli italiani (oltre che dall’Europa) un rimedio ai disastri economici e contabili cui era giunto il Paese -, non risulta comprensibile nelle capitali estere. Ugualmente, il successo alle urne di forze populiste e antieuropee, o anche solo euroscettiche (peraltro presenti in tutto lo scacchiere continentale), appare in contrasto con il tradizionale europeismo dell’Italia. Lo stallo politico seguito al voto legislativo di fine febbraio ha terrorizzato Eurolandia, e in tutta Europa si fatica a comprendere come possa procedere con successo il nuovo Esecutivo, sostenuto da forze fino a ieri avverse, anzi alternative.

Resta il fatto che l’Europa chiede all’Italia – che fa parte di un mercato unico, con una moneta comune, con leggi e direttive comuni, con istituzioni sovranazionali comuni – semplicemente di fare la sua parte. Merkel e Hollande, Barroso e Draghi, così come Obama e Cameron, conoscono il valore strategico, in campo politico, economico e difensivo della Penisola, la quale deve però riguadagnare stabilità politica, credibilità internazionale, solidità istituzionale, coesione sociale, capacità di portare a compimento alcune riforme in grado di ridare slancio al sistema-Paese.

Tutto ciò può forse avvenire con un ritorno “popolare” al quel patrimonio culturale e valoriale condiviso che, nonostante tutto, in Italia regge ancora e che è alimentato, fra gli altri, dalla Chiesa cattolica, non a caso preoccupata e partecipe delle sorti della nazione. Essere più convintamente italiani sarà, al contempo, il modo più efficace di essere europei a tutto tondo.