Europa

Eurobond e Mes, Visentini: «Non giochiamo con le parole. Servono soldi per lavoratori e imprese»

Il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati indica le risposte necessarie ad affrontare l’emergenza e la crisi economica che si prospetta

L’Europa colpita dal Covid-19 sta attraversando un’altra crisi, dopo quella finanziaria del 2008 e quella migratoria del 2015. I dati lo mostrano sempre più chiaramente. C’è l’emergenza sanitaria da fronteggiare nell’oggi, ma serve guardare al futuro: i tassi elevati di lavoratori in cassa integrazione e i disoccupati, e l’annunciata recessione economica chiedono azioni coraggiose affinché l’Europa non affoghi. Abbiamo chiesto a Luca Visentini, segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc, European Trade Union Confederation; 89 confederazioni sindacali di 39 Paesi), una lettura della situazione e una valutazione sull’adeguatezza delle risposte che si stanno faticosamente mettendo in campo.

Si possono già fornire dei numeri sulle ricadute di questa crisi per il mondo del lavoro?
Non abbiamo un quadro completo, ma dai dati di cui disponiamo emerge che un mese e mezzo dopo la sospensione del lavoro in moltissimi Paesi ci sono già almeno 20 milioni di persone che sono sospese dal lavoro o lo hanno perso. Circa il 60% di loro sta facendo ricorso alla cassa integrazione o a strumenti di sostegno al reddito, mentre il 40% circa ha perso, assieme al posto, anche il reddito. È una situazione gravissima perché stiamo parlando dello stesso numero di disoccupati che si era creato a causa della crisi finanziaria del decennio precedente, ma ora è accaduto tutto in un mese e mezzo. Questo si accompagna al dato di milioni e milioni di imprese che sono state costrette a sospendere parzialmente o completamente le proprie attività e c’è la grande incertezza su quanto queste imprese, soprattutto le medie e le piccole, riusciranno veramente a ritornare sul mercato quando l’emergenza sarà finita.

Siete soddisfatti di come si sta muovendo l’Ue?
Molte delle misure assunte a livello nazionale e quelle che si stanno finalmente delineando a livello europeo sono positive. Il problema principale sono le tempistiche, soprattutto per quelle europee che saranno in grado di generare risorse reali solo fra un paio di settimane, se il Consiglio europeo del 23 aprile finalmente le approvasse. Però c’è la buona volontà di dispiegare misure straordinarie che nella precedente crisi hanno richiesto anni per essere decise dalle istituzioni europee e dai governi nazionali.

I soldi promessi sono tanti…
Il pacchetto della Banca centrale europea e della Commissione europea di metà marzo purtroppo non ha ancora avuto grandi effetti a livello nazionale perché quando i soldi passano attraverso le banche (ed è il caso dei 750 miliardi di euro del quantitative easing della Bce), non vanno direttamente agli Stati, ma alle banche, che però non hanno ancora piani di erogazione a tasso zero. Quindi il primo pacchetto è rimasto quasi totalmente inutilizzato, nonostante i grandi annunci. Le misure adottate la settimana scorsa potrebbero avere un impatto più immediato ed efficace perché sono misure per prestare soldi direttamente agli Stati con modalità di erogazione, e condizionalità, molto leggere. Bisogna però che il Consiglio si sbrighi ad approvarle. Dal nostro punto di vista la cosa più importante è lo strumento che si chiama Sure, cioè il sistema di riassicurazione dei sistemi di protezione del reddito a livello nazionale e che servirà, con 100 miliardi di euro, a finanziare il potenziamento della cassa integrazione in Italia, dei “gutsarbeiter” in Germania, dei bonus per i lavoratori autonomi e così via. Consentirà di prolungarli nel tempo, aumentare gli importi, raggiungere una platea più ampia. Ci sono alcune cose da mettere ancora a punto, secondo noi. Come il fatto che sei Paesi non hanno adottato misure di questo genere, mentre è importante che anche loro si dotino di misure simili. E c’è il problema che la Commissione dovrebbe raccomandare che queste misure siano veramente universali, cioè raggiungano tutte le imprese di qualsiasi dimensione, garantendo coperture anche per i lavoratori del commercio, del turismo, dell’agricoltura e anche per i lavoratori normalmente esclusi, come gli autonomi, gli atipici, i precari. Sono però da mettere ancora a punto le modalità di utilizzo di questi soldi. Molto importante è anche il fondo Bei che dovrebbe garantire 200 miliardi di prestiti alle imprese piccole e medie: speriamo che si possa attivare in tempi brevissimi, prima che le imprese spariscano dai mercati.

E del Mes – Meccanismo europeo di stabilità, noto anche come Fondo salva-Stati – quale valutazione date?
Riteniamo l’attivazione del Mes sia positiva. Sappiamo che in Italia c’è uno strano dibattito, molto ideologico e anche un po’ fuorviante, su questo strumento: noi non abbiamo amato il vecchio Mes del 2012, che era molto pericoloso, perché imponeva misure di austerità, tagli e condizionalità macroeconomiche ai Paesi che volevano usarlo. Ma la linea di credito che si è deciso di attivare adesso è completamente diversa, perché va soltanto a sostenere i sistemi sanitari e perché non pone condizionalità, raccomandazioni di tagli o politiche di austerità, ma sono prestiti da restituire in trent’anni a tasso zero. Quindi è denaro fresco che non accresce il debito pubblico dei Paesi che lo richiedono e consente veramente di aiutare i sistemi sanitari a reagire adeguatamente alla crisi.

Ci sono secondo voi fragilità in questo complesso sistema di aiuti?
Noi vediamo due problemi aperti: che il Consiglio sia in grado di fare quello che l’Eurogruppo non è riuscito a fare, cioè decidere di creare uno strumento per consentire la ripresa economica. I dati diffusi dal Fondo monetario internazionale sull’impatto di questa crisi sono spaventosi. Si consideri che la ricaduta sul Pil mondiale della crisi del 2008 era stato di -0,36%, ora si calcola un -7,5% per la zona euro: un disastro economico che si riuscirà a tamponare solo se le misure di emergenza si attivano subito e se si comincia già da ora a immaginare un piano di ripresa economica molto significativo. Noi pensiamo abbia ragione la Commissione europea a ipotizzare un piano che abbia almeno la stessa dimensione del bilancio europeo, cioè mille miliardi in sette anni, quindi l’1% del Pil europeo, ma il problema è come i soldi verranno raccolti e come spesi. È sbagliato polarizzare la discussione su eurobond sì o no. È importante si dica: vogliamo un piano per la ripresa economica che abbia quella dimensione e poi valutare lo strumento per raccoglierli. L’altro problema è che questi soldi, anche con un cofinanziamento da parte degli Stati membri, devono essere investimenti che vanno direttamente ai sistemi di protezione sociale, alla sanità pubblica, alle imprese, ai lavoratori, devono creare posti di lavoro e prospettive di crescita soprattutto nei settori più sostenibili, come l’economia verde o digitale. Speriamo il Consiglio cominci a discutere di questo. Un altro elemento su cui, anche insieme agli imprenditori europei, stiamo insistendo è che la Road map per la fase 2 che la Commissione ha appena presentato, importante perché il ritorno alla normalità avvenga in modo coerente e coordinato, valuti attentamente le misure di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori nel momento in cui dovranno rientrare sul posto di lavoro. Nella proposta attuale della Commissione non sono ancora adeguatamente affrontate

Questa crisi ha spalancato le porte a nuove modalità di lavoro, da remoto: come cambia e che cosa potrebbe cambiare in modo stabile nel futuro?
Non ci aspettiamo un’impennata del lavoro digitale quando il lockdown e la crisi saranno finalmente passati. Certo nella transizione potrà accadere che alcune attività vengano mantenute in remoto per un periodo che potrebbe anche essere di diversi mesi. Ma quello che ci sta interrogando molto e rispetto a cui è necessario prendere alcune misure è come si fa a garantire che le persone che lavorano on line siano adeguatamente protette non più sul posto di lavoro ma a casa a propria, chi deve pagare per la strumentazione necessaria, come arginare il rischio della precarizzazione. Questo tempo apre finalmente l’opportunità di affrontare e risolvere i problemi annosi dei lavoratori che già erano “digitali”, e torneranno ad esserlo dopo la crisi, ma che fino ad oggi non erano tutelati.

Dal Sir