L’Eucaristia: presenza “solidale”

Papa Francesco all’Angelus: “Nell’Eucaristia Gesù, come fece con i discepoli di Emmaus, si affianca a noi, pellegrini nella storia, per alimentare in noi la fede, la speranza e la carità; per confortarci nelle prove; per sostenerci nell’impegno per la giustizia e la pace”

“Un cibo è buono da mangiare se è buono per pensare” diceva il filosofo e antropologo Claude Lévi-Strauss. In questa domenica la Chiesa ci invita a celebrare il Corpus Domini, “la festa dell’eucaristia, il sacramento del Corpo e Sangue del Signore”, istituito nell’ultima cena. Non sembri irriverente l’accostamento. La pagina del Vangelo di Giovanni è tratta dal capitolo 6, che inizia con il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci: cibo buono che sazia la moltitudine di persone accorse a Tiberiade, sul mare di Galilea; anzi ne resta a sufficienza per riempire dodici canestri. Un segno, un miracolo, che è invito a pensare: “Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo”.
Oltre i segni, ci sono le parole: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna”. Parole che spiegano quanto Gesù fece nell’ultima cena, istituendo l’eucaristia. Siamo a Cafarnao, nella Sinagoga, ed egli dice di essere “pane vivo disceso dal cielo”; pane che dà la vita eterna. Discorso nel quale propone l’equazione pane uguale carne: alimento per vivere il primo, per vivere in eterno la sua carne. Interessante notare che nel suo discorso Gesù fa memoria di quanto è riportato nell’Antico Testamento, e cioè il pane immagine che esprime saggezza, e che rimanda alla manna piovuta dal cielo alimento per gli ebrei durante la peregrinazione nel deserto. Gesù è il pane vivo disceso dal cielo: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Non solo il proprio corpo ma anche il suo sangue. Altra allusione ai testi biblici: la carne dell’agnello pasquale aveva nutrito gli ebrei, la notte della fuga dall’Egitto; il sangue era stato il simbolo della liberazione dalla schiavitù. Così il nutrirsi del suo corpo e del suo sangue, diventa legame con la storia della salvezza.
La festa dell’Eucaristia, il sacramento del Corpo e Sangue del Signore”, istituito nell’ultima cena, “costituisce il tesoro più prezioso della Chiesa”, affermava Papa Benedetto, che ricordava: “La comunione con il Corpo di Cristo è farmaco dell’intelligenza e della volontà, per ritrovare il gusto della verità e del bene comune”. L’Eucaristia, dice Papa Francesco all’Angelus, “è sacramento della sua carne data per far vivere il mondo; chi si nutre di questo cibo rimane in Gesù e vive per lui. Assimilare Gesù significa essere in lui, diventare figli nel figlio”. Come fece con i discepoli di Emmaus, Gesù nell’Eucaristia “si affianca a noi, pellegrini nella storia, per alimentare in noi la fede, la speranza e la carità; per confortarci nelle prove; per sostenerci nell’impegno per la giustizia e la pace”.
È una presenza “solidale”, afferma ancora il Papa, e la si può cogliere “nelle città e nelle campagne, nel nord e nel sud del mondo, nei paesi di tradizione cristiana e in quelli di prima evangelizzazione. E nell’Eucaristia egli offre sé stesso come forza spirituale per aiutarci a mettere in pratica il suo comandamento – amarci come lui ci ha amato – costruendo comunità accoglienti e aperte alle necessità di tutti, specialmente delle persone più fragili, povere e bisognose”.
Un’attenzione concreta che Francesco esplicita nel dopo Angelus, parlando della Giornata mondiale del rifugiato. È il Papa delle periferie dell’esistenza, che compie il suo primo viaggio scegliendo l’isola di Lampedusa, per incontrare quanti hanno raggiunto quel lembo di terra, confine meridionale dell’Italia, ma anche dell’Europa. Così chiede di guardare a donne, uomini e bambini “in fuga da conflitti, violenze e persecuzioni”. Chi ha pianto per questi volti, aveva detto a Lampedusa, parlando di “globalizzazione dell’indifferenza”. Così all’Angelus chiede preghiere per quanti “hanno perso la vita in mare o in estenuanti viaggi via terra. Le loro storie di dolore e di speranza possono diventare opportunità di incontro fraterno e di vera conoscenza reciproca. Infatti, l’incontro personale con i rifugiati dissipa paure e ideologie distorte, e diventa fattore di crescita in umanità, capace di fare spazio a sentimenti di apertura e alla costruzione di ponti”.