Eterologa inattuabile: in Italia mancano donatori e donatrici

Eleonora Porcu, ginecologa e ricercatrice a Bologna: ”Non è un problema sanitario, ma antropologico. Questa tecnica chiede ai potenziali donatori di considerare, accettare e quindi accantonare l’immaginario e il ricordo di un potenziale bambino nato dai propri gameti ma che non potrà mai essere un figlio. Entrano in gioco sensibilità e vissuti personali, un dilemma/conflitto più che legittimo”.

“Se si vuole rispettare la legalità, per ora la fecondazione eterologa non può partire perché i gameti non ci sono”. Non usa giri di parole Eleonora Porcu, medico ginecologo responsabile del Centro di Infertilità e procreazione medicalmente assistita del Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi, Università di Bologna. In Italia si parla già di centinaia di donne in lista di attesa per questa procedura di fecondazione, ma il Sant’Orsola, unico centro pubblico del capoluogo emiliano, non accetta prenotazioni mentre sono più di 300 le donne in lista di attesa nei tre centri privati accreditati. “Fino ad oggi – ci spiega la dottoressa Porcu – non si sono presentati né donatori né donatrici. Mi sembra inappropriato aprire liste di attesa in mancanza di materia prima”. E il problema sembra essere di portata nazionale.

Dottoressa, c’è dunque un problema di reperimento di donatori/donatrici?

“La Corte costituzionale ha stabilito chiaramente che la donazione di gameti debba essere gratuita; ora si tratta di trovare chi sia disposto a cedere gratuitamente i propri ovociti e spermatozoi, ossia ciò che si definisce in modo riduttivo e disumanizzante, la ‘materia prima’”.

Come si spiega questa poca disponibilità?

“Non è un problema sanitario, ma antropologico. Sono i cittadini che dovranno decidere secondo sensibilità e coscienza se donare o meno i propri gameti da cui potrebbe nascere un essere umano, gesto che non si può ridurre alla stregua di una semplice donazione di sangue o di midollo osseo. C’è chi parla di donazione come atto di civiltà, rispetto, solidarietà. Giusto, ma in questo caso si tratta di cellule che possono dare origine ad una persona. La fecondazione eterologa è molto più delicata e complessa della rappresentazione che ne viene fatta: ha a che fare con la sanità in senso stretto solo per quanto riguarda il supporto tecnologico fornito all’incontro di gameti altrimenti impossibile, ma investe aspetti psicologici e antropologici di assoluto rilievo. Mi meraviglio che nessuno faccia notare come questa tecnica chieda ai potenziali donatori di considerare, accettare e quindi accantonare l’immaginario e il ricordo di un potenziale bambino nato dai propri gameti ma che non potrà mai essere un figlio. Entrano in gioco sensibilità e vissuti personali, un dilemma/conflitto più che legittimo”.

Per una donna, inoltre, la donazione di ovociti è una procedura molto invasiva…

“Sì. Gli ovuli passano attraverso un processo di stimolazione ormonale ovarica, cui segue un intervento chirurgico in anestesia per il loro prelievo, che potrebbe non essere privo di complicanze ed effetti collaterali”.

Quali le alternative possibili?

“La prima potrebbe essere la donazione ad altre donne degli eventuali ovociti sovrannumerari prodotti dalle donne attualmente in trattamento di procreazione omologa, dei quali la stessa donna potrebbe però avere bisogno se il primo ciclo di fecondazione non andasse a buon fine”.

Non si potrebbe ricorrere anche agli ovociti congelati?

“La vigente normativa europea sulle donazioni stabilisce che gli esami sulla donna debbano essere eseguiti al momento del prelievo degli ovuli, ma non è scontato che ovunque sia stata seguita questa procedura. Molti ovociti sono stati congelati diversi anni fa. Anche un’eventuale deroga, che stabilisse ad esempio un termine di tre mesi prima del prelievo, non darebbe la certezza che allora siano stati effettuati tutti gli esami previsti oggi. Credo pertanto che la percentuale di ovuli potenzialmente utilizzabile attraverso questa procedura non sarebbe rilevante”.

Ma chi ha spinto per far cadere il divieto dell’eterologa non si è posto il problema della reperibilità della “materia prima”?

“Che cosa le posso rispondere? C’è stato un forte pressing… e mi fermo qui. Restiamo a guardare lo sviluppo degli eventi. Alcuni centri potrebbero pensare di acquisire, per non dire acquistare, i gameti all’estero, ma anche questa pratica non è consentita nel nostro Paese. Certo, se nel giro di un paio di mesi avremo notizia di fecondazioni eterologhe avviate da alcune strutture e di tot numeri di casi al giorno, saremo curiosi di condividere la strategia scientifica e operativa attuata da questi centri”.

Una campagna di sensibilizzazione potrebbe incoraggiare le donazioni?

“Non credo darebbe grandi risultati. Forse farebbe più facilmente presa sugli uomini privi del senso di ‘corporeità interna’ che abbiamo noi donne. La sessualità, la gravidanza, la maternità noi ce le portiamo dentro, spesso con sofferenza, e questo ci porta ad una maggiore sensibilità e riflessione. È difficile fare previsioni, non c’è nulla di simile al mondo; all’estero per la cessione di gameti è previsto un compenso”.

In concreto, come pensa di procedere?

“Per ora restiamo in attesa. Avrò a breve una riunione con la direzione sanitaria per fare il punto della situazione e ragionare su come muoversi, naturalmente nel rispetto della normativa e della sentenza della Corte, a seguito della quale la fecondazione eterologa non è più eludibile. Occorre capire come declinarla nella realtà dei fatti”.