Essere per qualcuno

Mettere al primo posto l’interesse, il piacere, la felicità del proprio coniuge o di un fratello è un esercizio in cui possiamo cimentarci tutti e che di certo allena il cuore a comportarsi così anche con altri.

Quante volte ci siamo ripetuti il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”? E allora perché nell’inno alla carità, San Paolo dice che l’amore “non cerca il proprio interesse”, “non cerca quello che suo”? Il Papa ci aiuta in questa apparente contraddizione: “bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri” (AL 101) Ecco, quindi, si tratta di un prerequisito, questa accettazione di sé, questo amor proprio, che afferisce all’ambito dell’equilibrio psichico, ma poi – concedetemi il gioco di parole – ben venga lo sbilanciamento verso il donarsi all’altro senza misura, fino al dono della vita, che non è affare solo dei martiri celebrati sugli altari, ma riguarda da vicino la quotidianità di tutti noi. Un padre mi dice che a suo avviso non è vero che i bambini da piccoli sono tutti buoni, ma che anche fra essi c’è chi mette in campo indoli più aggressive o fraudolente. Fatta salva l’esistenza del peccato originale e consapevole che molti dei comportamenti dei ragazzi sono frutto di emulazione di contesti famigliari o ambientali che diseducano invece che formare, mi rendo conto che fin dalla più tenera età tutto ci spinge a fare l’opposto di quanto invita l’inno, a cercare il nostro interesse, ad operare per un nostro tornaconto, a sgomitare per quel posto al sole che crediamo ci spetti di diritto, lontani dalla logica del dono e molto più portati – ma è questa la nostra natura? – a ragionare secondo il calcolo, il merito, il guadagno anche a danno dell’altro. La famiglia è immune da questo reticolo di tentazioni egoistiche? Ovviamente no, però è vero che può mettere in campo dei contravveleni virtuosi cosicché che ogni piccolo gesto per l’altro può diventare davvero un grande miracolo di gratuità. È ancora il Papa citando San Tommaso a dire che “è più proprio della carità voler amare che voler essere amati e che in effetti, le madri sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate” (AL 102). Il luogo per eccellenza del dono è il cuore di una madre. Chi ha fisicamente “dato la vita”, chi ha allattato, indefessamente, per notti e notti, sa cosa significhi mettere al primo posto il bene altrui, la vita dell’altro. Essere per qualcuno. Ma mettere al primo posto l’interesse, il piacere, la felicità del proprio coniuge o di un fratello è un esercizio in cui possiamo cimentarci tutti e che di certo allena il cuore a comportarsi così anche con persone più distanti dal ristretto cerchio famigliare. Allenarsi al dono di sé, silenziosamente, allungando di giorno in giorno la distanza percorsa e allargando contestualmente le maglie del cuore. C’è una fantasia da chiedere come grazia, la fantasia di tutti quei gesti che solo noi possiamo fare e che solo da noi gli altri possono aspettarsi.