Nel pomeriggio del 24 agosto, Accumoli, paese epicentro del tragico terremoto del 2016, ha ricordato le sue vittime con una celebrazione liturgica animata da suggestivi intermezzi musicali.
«Il canto che ha invocato lo spirito ci ha introdotto in questa tappa. Qui ricordiamo gli undici morti di Accumoli e vogliamo farlo nel segno della speranza, come la musica ci suggerisce» con queste parole il vescovo Domenico ha dato inizio alla Santa Messa presso la Scuola di Ricostruzione.
E l’atmosfera, carica di emozione, è stata allietata proprio dalla melodia, grazie alla presenza di due cori e un’orchestra polifonica.
Non solo il coro di Accumoli e Amatrice, ma anche il coro Elikya e l’orchestra dell’Accademia Vicino che coinvolge giovani musicisti provenienti da diverse parti del mondo.
Il coro Elikya è un coro intergenerazionale e interculturale che nasce circa dieci anni fa da un progetto voluto da padre Padretti e raggruppa una sessantina di musici e cantori delle più svariati nazionalità e religioni.
«Oggi siamo qui perché abbiamo deciso di fare il Cammino delle Terre Mutate e, in onore delle vittime del sisma, volevamo fare anche un concerto», ha detto Claudio, membro della formazione.
Il vescovo Domenico nell’omelia ha citato il Libro dell’Apocalisse, che «a dispetto del nome non indugia mai su toni catastrofici ma una rivelazione».
«Siamo giunti a cinque anni di distanza dal terremoto – ha sottolineato monsignor Pompili – e una cosa deve essere chiara: non si può riprodurre la città vecchia ma occorre tratteggiare una città nuove; non basta rimeditare le forme del passato o immaginare una ricostruzione dov’era e com’era, ma bisogna avere la capacità di immaginare qualcosa di nuovo in questo territorio».
Un territorio «di transumanza», l’ha definito don Domenico, perché «a transumare in passato erano gli ovini che scendevano in città, ma forse oggi ci è data un’irripetibile opportunità di mettere in atto un’altra forma di transumanza, quella di essere umani in doppia direzione, andando sia verso la città che verso la montagna. Una sorta di “contratto di reciprocità”, perché non è pensabile che questi luoghi siano ripopolati solo da coloro che tornano. È una sfida che dobbiamo raccogliere anche per onorare chi non c’è più che racchiude la sinergia che stasera sembra di poter cogliere in queste tre diverse espressioni musicali».
Poi, l’auspicio. «C’è bisogno che le istituzioni re-immaginino questo territorio e collaborino insieme affinché questo altopiano di struggente bellezza torni a vivere».
Al termine della celebrazione, il ricordo delle vittime è stato affidato a undici bambini, ciascuno dei quali ha portato una candela verso l’altare, ricordando il nome di chi non c’è più.